Allegri, scudetto numero 5 con la Juve ma per fare scuola deve vincere la Champions
C'è un momento nella carriera degli allenatori delle grandi squadre in cui si ritrovano coi riflettori puntati addosso. Accade quando hai la squadra perfetta, con l'esperienza e le caratteristiche giuste per vincere e magari ti capita anche il miglior calciatore del periodo da allenare. Quando avviene questa combinazione, per tutti dipende tutto dall'allenatore ed è così che la luce di cui sopra diventa accecante. A trovarsi in questa meravigliosa e terribile situazione in questa stagione è Massimiliano Allegri, che non può mancare più l'obiettivo che Cristiano Ronaldo vuole più di ogni altra cosa al mondo, la vittoria della Champions League. Cinque titoli consecutivi a Torino (6 nel complesso, considerando anche il Milan) sembrano non bastare più… E per questo motivo ogni sospiro dell’allenatore è soppesato e analizzato, perché i margini di errore sono davvero sottilissimi.
Qualche giorno fa sulla Gazzetta dello Sport c’era una riflessione interessante, secondo la quale sono stati coniati i termini guardiolismo, sarrismo, contismo, cholismo, kloppismo, ma nessuno parla mai di allegrismo, e non è una questione fonica o di marketing ad impedirlo. Gli ismi si affermano perché l’allenatore da cui nascono hanno principi chiari e dichiarati, da cui non si transige. Potremmo dire che l’ismo nasce da leggi che tutti devono rispettare.
Restando alle leggi, ad Allegri invece si abbina alla perfezione un proverbio russo: “La legge è come il timone, va dove la giri” ed è per questo che il suo calcio sfugge alla regola obbligatoria dell’ismo. Non ci sono dettami rigidi nel modo di vedere il calcio di Allegri e anche in campo questo è evidente. L’allenatore della Juve è il miglior gestore di risorse che c’è in giro, perché capace di adattarsi completamente ai calciatori di cui dispone.
- Appena comprato Mandzukic, il croato era un centravanti perfetto.
- Arrivato Higuain ha saputo reinventarlo esterno d’attacco, sfruttando la sua intelligenza tattica e l’energia.
- Arrivato Cristiano Ronaldo lo ha riproposto in attacco, facendolo diventare l’uomo chiave per togliere pressione fisica da CR7 e dare al suo nuovo campione spazi per fare male. Un solo calciatore, fantastico quanto si vuole solo per il voler accettare tutte queste modifiche, tante modalità di utilizzo, adattando gioco e disposizione in campo.
Quello di Mandzukic è un esempio perfetto, ma se ne possono fare tanti altri. Questa sua capacità camaleontica fa emergere la più grande dote di Allegri, quella di conoscere i calciatori. Avere consapevolezza del ruolo, delle capacità integrative con i compagni e dell’utilizzo perfetto di ogni calciatore è ben diverso dal conoscere il calcio, le tattiche, le situazioni di gioco, gli schemi. Conoscere i calciatori vuol dire appunto saperli gestire sotto tutti i punti di vista, tattico, psicologico e fisico. Se vogliamo proprio creare la categoria, difficilmente ripetibile dell’allegrismo, questa è la frase che ne sintetizzerebbe il cuore semantico.
Ma tornando all’inizio e al fatto che tutti i riflettori sono su Allegri, vien da sé che tutto quello che ha dimostrato fino ad oggi conta poco se non porta a casa il trofeo più importante d’Europa. Capacità gestionale e sapienza tattica sono doti fondamentali ma la Juve potrebbe chiedere al suo tecnico un salto di livello dal punto di vista delle idee, pensando anche a quello che abbiamo visto nelle partite di Champions League.
- Al Wanda Metropolitano e ad Amsterdam la Juve ha giocato male, in casa è andata anche peggio… basandosi su concetti soprattutto nella costruzione della manovra antiquati, come i lanci lunghi che nell’ultima partita sono stati ben 77, rispetto ai 44 dei lancieri. La difficoltà di uscire dal pressing della Juve è stata allarmante e se il turno potrebbe essere comunque superato senza problemi, una squadra dominante deve – lo dice il termine stesso – dominare in ogni situazione e in ogni campo.
- Alle squadre di Allegri di sicuro può essere rimproverato la difficoltà di essere in alcune partite fondamentali troppo passive, legandosi ad una tradizione italiana di cui l’allenatore livornese è l’esempio contemporaneo comunque migliore.
La sua parabola sembra essere molto simile a quella di Giovanni Trapattoni, il re del calcio ‘camaleontico'. A fine Anni Settanta Agnelli accettò di buon grado le sue capacità di gestione degli uomini, in quanto bisognava crearsi un credito in Europa e vincere in Italia. Quando però il Trap dovette gestire il miglior calciatore del periodo, Platini, più sei campioni del mondo e Boniek, dovette trovare anche idee di gioco molto più contemporanee, che permettessero alla squadra di andare a Liegi e giocare benissimo, a Birmingham contro l’Aston Villa e vincere 1-2, oltre che portare a casa Coppa delle Coppe e Coppa dei Campioni in due anni.
Molto probabile che sarà proprio il nuovo Agnelli al timone della Juve a chiedere al suo tecnico questo passo in avanti. Con la vittoria della Champions League tutti dovranno ammettere che Allegri è il miglior allenatore in circolazione, senza più tante remore di carattere anche estetico. In caso di sconfitta, la sua posizione potrebbe essere rivista e Agnelli cercare un allenatore che oltre ad avere un suffisso sia anche diverso da Allegri.