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A Londra è stato un Napolicchio. Giovedì la partita della vita per non fallire del tutto

E’ lecito definire ‘fallimento’ quest’annata se giovedì prossimo finirà anche l’avventura in Europa League. Fuori dalla Coppa Italia con poca gloria. A distanza siderale dalla Juventus in campionato (-20) con 13 punti in meno rispetto all’anno scorso e un secondo posto che “po esse fero e po esse piuma”, un pugno nello stomaco oppure una carezza stretta in un pugno assieme ai milioni della Champions. Quel che conta da sempre più di ogni altra cosa.
A cura di Maurizio De Santis
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A brutte figure di questo tipo Ancelotti non era abituato. Dinanzi all'ennesima incertezza di Mario Rui sbrocca, impreca e si gira verso il figlio, Davide, accomodato in panchina. "Chiama Ghoulam, chiama Ghoulam", quasi urla Carletto che – se potesse – all'Emirates li cambierebbe tutti ma ha un problema sostanziale: quando si volta, non trova Marcelo e Toni Kroos, né Benzema, né Robben o Ribery. Che avrebbe dovuto arrangiarsi con quel che restava dell'epoca di Sarri lo sapeva già. E lo ha accettato. Ci ha provato e messo molto della sua esperienza, preservando almeno il piazzamento Champions in campionato. Per andare avanti anche in Europa League, nella Coppa figlia di un dio minore, serve qualcosa in più. Ovvero, ciò che il Napoli non può dare. A Londra non è mai sceso in campo, non c'era con la testa (pensava forse al Chievo?) e nemmeno con il cuore (cosa peggiore).

Era un Napolicchio. Senz'anima. Pavido. Troppo brutto per essere vero o troppo vero per essere così brutto. La ridondanza esprime l'identità cucita con molto mestiere addosso a una squadra che senza Albiol in difesa e Hamsik a centrocampo ha perso equilibrio e personalità. L'uno rientrerà, prima o poi. L'altro è stato lasciato libero di andare in Cina a mercato chiuso e senza trovare un'adeguata alternativa.

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Eppure un quarto di finale contro i Gunners dovrebbe essere abbastanza stimolante, pungolare l'orgoglio. Invece in Inghilterra gli azzurri fanno la figura del ‘coniglio bagnato'. E pensare che l'Avvocato chiamava così Roby Baggio ma questo Napoli è senza capo né codino, al massimo ha la zazzera di Insigne. Proprio lui, il ‘magnifico' che se non indovina il tiro a giro calcia alle stelle. E' stato uno dei peggiori in campo, dimostrando di non valere tutte le smentite e le chiacchiere sul suo futuro.

La colpa del naufragio dell'Emirates, però, non è tutta sua. La divide equamente con il resto della squadra: quando ha dato presenza di sé è stato per gli errori palesi che hanno spianato la strada all'Arsenal. Il terzino portoghese, come il dirimpettaio Hysaj, sembrano pezzi di legno in balìa della risacca. Là in mezzo, in quella tonnara che risucchia la coppia di mediani partenopei, Allan è la brutta copia di se stesso (ma questo lo è da tempo, da quando a gennaio avrebbe voluto prendere casa a Parigi) e Fabian Ruiz mostra che se vuoi fare almeno l'Hamsik (mica Lampard, eh?) ne hai ancora di strada da percorrere…

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Eccezion fatta per ‘santo Meret', che ha preso in prestito la mano de dios e l'ha usata per opporsi alle conclusioni dell'Arsenal dando ancora un senso alla gara di ritorno, il resto è da dimenticare. A cominciare dalla beffarda autorete di Koulibaly, quasi un segno del destino, un messaggio chiaro: l'aziendalismo paga fino a un certo punto, senza soldi/giocatori giusti non si cantano messe. Né si vincono trofei che non siano la magra consolazione (nemmeno più quella) del record di punti, del bel gioco coniugato con l'elogio della mediocrità.

Il 2-0 è sì una montagna ma non invalicabile. E qui, nell'attesa che i 90 minuti di Napoli trasformino la delusione in speranza, subentra un altro aspetto della questione: è vero che paragonare questa squadra con quella di Sarri è sbagliato, visto che il ‘triennio toscano' è giunto all'apice con i 91 punti (uno scudetto perso in albergo e nessun trofeo in bacheca) mentre Ancelotti ne ha raccolto i cocci e li ha rimessi assieme; ma è altrettanto lecito definire ‘fallimento' quest'annata se giovedì prossimo finirà anche l'avventura in Europa League. Fuori dalla Coppa Italia con poca gloria. A distanza siderale dalla Juventus in campionato (-20) con 13 punti in meno rispetto all'anno scorso e un secondo posto che "po esse fero e po esse piuma", un pugno nello stomaco oppure una carezza stretta in un pugno assieme ai milioni della Champions. Quel che conta da sempre più di ogni altra cosa. Perché in fondo si può vincere anche se sei un perdente.

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