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50 anni di Baggio: il Divin Codino raccontato attraverso le maglie indossate

Il Divin Codino tra Vicenza e Brescia, la tappa iniziale e quella finale di una carriera costellata da gioie, vittorie e contrasti infiniti con i tecnici incontrati in uno splendido cammino. In cui ha vestito le maglie e i colori più prestigiosi vincendo in Italia e in Europa: dalla ‘B2′ in Viola, alla ’10’ ritirata dal Brescia dopo il ritiro dal mondo del calcio.
A cura di Alessio Pediglieri
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50 anni. Mezzo secolo ma sembra ieri. 50 anni, una data tonda, importante, da ricordare. Come quei giorni in cui calcava i campi di calcio prima in periferia nella piccola Vicenza per poi sbarcare a suon di tocchi, delicatezze e caramelle nelle categorie principali, vestendo i colori dei club italiani più prestigiosi, riuscendo a vincere tutto. Roberto Baggio, il Divin Codino oggi spegne 50 candeline. Ma sembra ieri, e resterà così: il suo codino al vento, le sue finte, la palla incastonata al piede come splendido diamante da raffinare nelle porte avversarie. Buon compleanno, Roberto.

Un genio del pallone, un'artista del calcio, il Raffaello della pedata. Unico nel suo genere, Baggio ha avuto tanto feeling in campo quanto un costante rapporto conflittuale con i suoi allenatori. Dai tempi in viola con Eriksson, fino alle dimissioni minacciate da Ulivieri a Bologna, passando da Lippi a Capello, da Sacchi a Trapattoni e Cesare Maldini. Ovunque sia andato il ‘nove e mezzo' di Roberto regalava sogni e lacrime di gioia ai propri tifosi, ma tormenti e dolori per i propri allenatori, mai in grado di gestire un giocatore dal carattere schivo, diffidente, incapace di scendere a compromessi anche quando potevano essere necessari. Ma che mai passava dalla parte del torto allorchè vestiva gli scarpini e faceva vincere ciò per cui si era lottato.

Il primo Baggio: l'amore viola, il Pallone d'Oro in bianconero

L'esplosione a Firenze, la ‘B2' – Così, dopo l'apprendistato a Vicenza, nel Lanerossi, eccolo approdare in viola, per formare sotto la guida di Eriksson, la storica B2 gigliata, insieme a Stefano Borgonovo. In una stagione il giovanotto riccioluto segna e fa segnare: i due siglano 29 reti in 44 incontri  e trascinerà la Viola in Coppa Uefa fino alle porte del Paradiso, nella finale poi persa contro la Juventus. Gli anni in viola sono anni d'amore puro cui Baggio resterà legato per sempre tanto che quando passerà in bianconero regalerà l'ultimo atto d'amore ai suoi ec tifosi rifiutandosi di calciare un calcio di rigore contro i gigliati.

Scudetto, Uefa e Pallone d'oro nella Juve – In bianconero sono solo gioie in campo, ma dolori con i propri allenatori. Sia con Trapattoni e soprattutto con Lippi i rapporti sono tesissimi e di scarsissima stima reciproca. Ma finché Baggio gioca, segna e fa vincere la squadra non si tocca. In bianconero conquista un campionato, una coppa Italia, una Coppa Uefa e soprattutto ne diventa il capitano e conquista il Pallone d'Oro 1993. Tutto ciò  non evita però i dissapori con l'allora triade juventina e le frizioni con Moggi diventano insanabili: per l'allora dg bianconero c'è già il sostituto pronto, tale Alex del Piero, e Baggio può salutare. Andando al Milan.

Il Baggio di Mezzo: da Capello a Capello i dolori in rossonero

I contrasti con Capello e Sacchi – Voluto da Fabio Capello, proprio con lo stesso tecnico però il rapporto non diverrà mai idilliaco. L'esperienza in rossonero inizia con un infortunio ma vince subito lo scudetto, Poi è la volta di Tabarez, tra i pochi allenatori a stravedere per il Codino, ma il tecnico sudamericano dura poco per lasciar spazio ad Arrigo Sacchi e ad altre frizioni con Baggio. L'esperienza milanista va in declino, con il tecnico si entra in conflitto aperto e prima di passare al Bologna c'è spazio per lo storico rifiuto del giocatore di scaldarsi ed entrare a ara in corso contro la Juventus. Con il ritorno di Capello in panchina, per il Codino l'esperienza rossonera si conclude ancor prima di iniziare.

L'ultimo Baggio: da Bologna a Brescia, solo andata

Dagli scontri con Ulivieri e Lippi, al ritiro del numero 10 – La parabola di Roberto è discendente ma trova ancora spazio per tre ultime esperienze a Bologna, nell'Inter e soprattutto a Brescia. Bologna e Milano sono legate dai contrasti con Ulivieri e Lippi. Il primo non l'ha mai voluto in rosoblù, il secondo aveva ancora conti in sospeso dai tempi della Juventus. I risultati sono negativi per tutti, giocatore e allenatori. Fino alla decisione di chiudere a Brescia dove Baggi orinasce e – finalmente – trova il suo padre putativo in Carletto Mazzone. E' il Baggio decadente ma più bello, con quattro stagioni in cui trascina le Rondinelle alla permanenza in serie A senza patemi. Quando si ritira, la società lombarda, in suo onore compie il gesto che gli negarono tutti i suoi precedenti club: ritira il numero 10 in segno di profonda stima e rispetto.

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