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30 Giugno 1984: Napoli-Maradona, un amore nato ventisette anni fa(VIDEO)

Ventisette anni fa il Napoli acquistava Diego Armando Maradona dal Barcellona per la cifra record di tredici miliardi e mezzo. Un amore destinato a non spegnersi mai.
A cura di Umberto Atteo
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Il 30 giugno 1984 il Napoli acquistò Maradona

L'anniversario di un grande evento per i tifosi partenopei: il 30 giugno 1984 il Napoli acquistò Maradona

Maradona

In un calcio dove le bandiere si contano oramai sulle punte delle dita esiste un'isola felice. Una galassia a parte, di colore azzurro, quella Napoli oggi sulle copertine dei media di tutto il mondo per la vergognosa emergenza rifiuti. Una città dal cuore immenso, capace di regalarti tanto ma al contempo di inghiottirti nei suoi ritmi frenetici e talvolta in vortici pericolosi. Questa è Napoli, prendere o lasciare. Nella vita di tutti i giorni così come nel favoloso e patinato mondo del pallone. Diego Armando Maradona è l'emblema del calcio partenopeo, vissuto come ragione di vita in una sorta di ottovolante emozionale, nel quale in tanti all'ombra del Vesuvio riversano sogni, speranze e soprattutto la volontà di dimenticare un presente contraddistinto da mille difficoltà. Un amore ancora vivo, quello che lega Napoli a Diego Armando Maradona, che oggi festeggia il ventisettesimo anniversario della storica presentazione del Pibe de Oro in un San Paolo oltremodo gremito.

La trattativa con il Barcellona

Corrado Ferlaino, presidente azzurro nell'era Maradona

Un braccio di ferro estenuante, interminabile. Cinquanta giorni, forse più, di colloqui nella sede del Camp Nou così come negli uffici del vice presidente catalano Gaspart. Ferlaino e Juliano, la strana coppia mai legata da un saldo legame personale se non dalla venerazione per i colori azzurri, intendevano regalare alla città un campione assoluto dopo aver scampato l'onta della retrocessione in cadetteria. Diego Maradona, l'oggetto del desiderio azzurro oramai in rotta di collisione con l'intero pianeta-Barcellona, arriva a Napoli il 30 Giugno 1984. Una data storica, impressa nella memoria degli amanti del football. "Buonasera Napolitani", così si presentò quel timido ragazzo che indossava una t-shirt azzurra ed ingolosiva la torcida con un palleggio nel cuore del tempio di Fuorigrotta. Tredici miliardi e mezzo delle vecchie lire, una cifra record per l'epoca, che vinse i tentennamenti di un Barcellona conscio di mandar via un autentico purosangue. Un lavoro d'equipe: mentre in Catalogna Juliano ed altri legati della società azzurra lavoravano ai fianchi l'entourage blaugrana, Ferlaino faceva la spola tra Palazzo San Giacomo e via Toledo, sede del Banco di Napoli che offrì la copertura finanziaria per l'operazione. E pensare che l'affare stava per sfumare, con Juliano che già aveva cambiato obiettivo, puntando il centravanti messicano Hugo Sanchez. Poi il dietrofront, l'accelerata sino alla fumata bianca: Ferlaino consegnò negli uffici della Lega una busta vuota e volò in Spagna per le firme e la stretta di mano con Maradona. Poi tornò a Milano e grazie all'aiuto di una guardia giurata sostituì la busta: depositò quella contenente il contratto di Diego. Storie d'altri tempi, di un calcio intriso di romanticismo totalmente in antitesi con le moderne logiche.

Re di Napoli

L'idolo del San Paolo

Il 5 luglio va in scena la presentazione ufficiale di Maradona, dinanzi a 70mila spettatori che pagano mille lire per poterlo vedere. Tutt'altro che entusiasmante la prima avventura in Serie A con un Napoli dal tasso tecnico medio molto scadente. Stagione 1985-86: gli acquisti dei vari Ferrara, Renica, Giordano e Garella sigilanno il salto di qualità, attestato dal terzo posto finale alle spalle di Juventus e Roma. Un'ottima annata per Diego, che nella torrida estate messicana si laurea campione del mondo con la nazionale argentina. Quasi un "one man show", che riesce a condurre al trionfo una delle selezioni albicelesti meno dotate tecnicamente della storia. Alzi la mano chi non ricorda la storica doppietta agli odiati inglesi nei quarti di finale: la "mano de Dios" e la serpentina vincente da centrocampo, simboli indelebili della storia di questo sport. Dopo il mundial, arriva il primo scudetto nella storia partenopea, al primo anno del bresciano Ottavio Bianchi in panchina. Ne segue la prima partecipazione del Napoli alla Coppa dei Campioni, dalla quale sarà eliminato al primo turno dal Real Madrid. In campionato, dopo una cavalcata inarrestabile in testa alla classifica arriva il crollo che favorisce il nascente Milan di Arrigo Sacchi. Una debacle sulla quale pesano pesanti sospetti di collusioni con la criminalità organizzata in merito agli affari legati alle scommesse clandestine. La vittoria in Coppa Uefa dell'anno seguente e il tricolore del 1989/90 cancellano l'onta delle vicende della primavera '88. E segnano l'inizio della fine di Dieguito.

La caduta

Maradona contro Bergomi nella storica semifinale di Italia '90

3 Luglio 1990, gli dei del calcio mettono contro Italia ed Argentina nella semifinale di Italia '90. Ironia della sorte, allo stadio San Paolo, il tempio di Maradona, le cui dichiarazioni al vetriolo dividono l'opinione pubblica partenopea: "I tifosi napoletani sanno per chi tifare. L'Italia, che da sempre si dimentica di loro, adesso gli chiede il supporto per arrivare in finale". All'atto finale giungeranno i sudamericani, vincitori ai rigori dopo l'1-1 dei tempi regolamentari. Diviso a metà il San Paolo, a testimonianza della peculiarità del rapporto tra l'idolo argentino e il popolo partenopeo. L'ultimo successo di Maradona in maglia azzurra è la vittoria nella Supercoppa Italiana contro i rivali juventini, umiliati in virtù di un sonoro 5-1. La fine è vicina, ed arriva il 17 Marzo 1991: Diego viene trovato positivo alla cocaina al termine dell'incontro casalingo con il Bari. Napoli saluta di notte un eroe dalla psiche oltremodo fragile, stressato da anni sulla cresta dell'onda: "So di aver fatto del male prima di tutto a me stesso e quindi alla mia famiglia, alle mie figlie. Credo che in futuro imparerò a volermi più bene, a pensare di più alla mia persona. Non mi vergogno però. Non ho fatto male a nessuno, salvo a me stesso e ai miei cari. Mi dispiace, sento una profonda malinconia, soltanto questo. Non voglio più essere costretto a giocare anche quando non sono in grado, a farmi infiltrare di cortisone perché devo essere in campo per forza per gli abbonamenti, per gli incassi, perché bisogna vincere a qualunque costo per lo scudetto o per la salvezza, perché in ogni partita ci si gioca la vita. A me gli psicologi stanno cercando di levarmi il vizio della cocaina, non quello di vivere".

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