20 giugno 1990: 25 anni fa nasceva la favola della Costa Rica
L’ascensore al sesto piano dell’ospedale si aprono su un uomo di mezza età. Sorride, è un giorno speciale per tutta la nazione. Il gol di Ruiz alla disastrata nazionale di Prandelli, il 20 giugno di un anno fa, ha portato la Costa Rica agli ottavi per la prima volta da Italia ’90. L’uomo fa pochi passi prima che un’infermiera lo riconosca. La voce si sparge, e sono abbracci e sono sorrisi, e sono selfie e sono autografi. “Hermidio è in quella stanza lì”, gli spiegano. Hermidio è Barrantes, il portiere di riserva della nazionale costaricense nelle notti magiche. Quell’uomo non ha dovuto chiedere informazioni, tutti sanno chi è e perché si trovi lì. Perché quell’uomo è Roger Flores, capitano della Costa Rica a Italia ’90, che in un altro 20 giugno ha segnato il gol più importante nella storia del calcio dell’intera nazione.
Verso le notti magiche – Hermidio sta bene, lo rassicurano i medici, e Roger, capitano una volta, capitano per sempre, diffonde la buona notizia tra i vecchi compagni che hanno condiviso l’impresa. “Di quanti giocatori di quella nazionale hai ancora il numero?” gli chiedono la sera. “Di tutti”. Eccolo, il segreto del successo di chi può dire di aver vinto anche senza aver alzato la coppa. In Italia sono arrivati un mese prima, per il Mondiale del ’90. Hanno scelto come allenatore Bora Milutinovic, già allora detto lo zingaro, ma non ancora il giramondo che sarebbe poi diventato. Era ancora uno zingaro piuttosto stanziale. Ha lasciato la Jugoslavia per il Messico perché ha sposato una miliardaria, “è più facile scegliere il suocero che il posto in cui vivere” dirà, e lì è rimasto salvo due brevi parentesi, le nove partite all’Udinese (ne ha perse sei) e i tre mesi di contratto con la Costa Rica per 30 mila dollari di ingaggio complessivo (tanti secondo i dirigenti della Federazione visto che il Presidente della Repubblica ne guadagna 150 mila all’anno). “Ho dovuto fare piazza pulita e ho escluso giocatori che sembravano intoccabili ma che non entravano nella mentalità del mio gioco. Ho promosso giovani come Gonzales, che non è neppure titolare del suo club. Ma ho potuto permettermelo perché questa volta non contano i sentimenti, come in Messico: non devo affezionarmi a nessuno”. Il preludio non è proprio dei più incoraggianti. A Manziana, sotto il diluvio, i Ticos perdono 2-1 in amichevole da una Lazio senza nessuna voglia agonistica. Ma, come da tradizione, peggiore è la prova generale, migliore sarà lo spettacolo.
“Svegliatevi!” – “Svegliatevi, datevi i pizzicotti, fate quello che volete. Costa Rica uno, Scozia, grande, zero!”. È la voce Manuel Antonio Pilo Obando, il telecronista della tv costaricense di allora, una leggenda nell’isola, a scandire l’entusiasmo per il gol, che sarà della vittoria, di Cayasso, stella del Saprissa. È uno dei calciatori professionisti di quella nazionale, come Medford che arriverà al Foggia di Zeman: tanti altri sono dilettanti, si guadagnano da vivere come tassisti o tagliando canne da zucchero. La Costa Rica, all’esordio in un Mondiale, vince anche grazie alle parate di Luis Gabelo Conejo, che salva anche sulla deviazione ravvicinata di Mo Johnston al 65’. “Nel calcio conta anche la fortuna” ammette, “ma abbiamo lavorato tanto con Milutinovic per arrivare a questo traguardo”. Dal triplice fischio finale, sul paseo Colon, la strada principale della capitale San Jose, riecheggiano i versi di Ricardo Saenz, “il Toto Cutugno dei Caraibi” come lo definisce un articolo di Repubblica dell’epoca: “Daremo tutto, daremo tutto, il cuore di Costarica l’Italia sentirà”. A San Jose scende in piazza con la bandiera in mano anche il presidente della Repubblica, Calderon Fournier. Ma di bandiere se ne vedono tante anche a Mondovì, dove la nazionale è in ritiro. A mezzanotte, ci sono più di mille persone in piazza ad aspettare il pullman. Nell’attesa, il proprietario di un negozio di vernici, prosegue l’articolo, fa scrivere sulla strada “Gracias por tan meravillos triunfo”, “grazie per il vostro meraviglioso trionfo”. E adesso, il sogno diventa ancora più grande. Si gioca al Delle Alpi di Torino contro il Brasile di Lazaroni, che sarà anche il peggiore mai visto in un Mondiale, ma è pur sempre il Brasile.
In bianconero – La Costa Rica dovrebbe scendere in campo con la terza maglia, che Milutinovic ha richiesto a strisce verticali bianconere, come la squadra per cui fa il tifo da sempre, il Partizan di Belgrado. Ma la federazione non ha i soldi per una terza maglia, la moglie del ct paga anche i conti al ristorante: serve un colpo di genio. E Bora, da questo punto di vista, ha pochi rivali. “Chiamai la segretaria di Montezemolo, una donna magnifica, e lui mi fece contattare da Boniperti. Fu meraviglioso: mi fece arrivare 44 maglie bianconere e con quelle giocammo contro il Brasile. Mi ricordo, entrando nello stadio, che tutti gridavano: Juve! Juve!”. Non è la prima volta che una nazionale gioca in un Mondiale con la maglia di una squadra per club: è impossibile dimenticare la casacca biancoverde del Kimberlain, squadra locale di terza serie, con cui la Francia ha battuto l’Ungheria a Argentina ’78 perché entrambe le squadre si erano presentate entrambe in maglia bianca, e l’equivoco nato dalle esigenze televisive. La Costa Rica non sfigura affatto, si merita tanti applausi ma non prende punti: la partita la decide un attaccante del Torino, Muller, che si toglie almeno la soddisfazione di segnare a una squadra con la maglia della Juventus, visto che nei derby non ha mai fatto gol. Dopo la sconfitta, e i ringraziamenti a Agnelli, tutta la nazionale della Costa Rica va comunque in pellegrinaggio a Superga. Ancora una volta, il migliore in campo è il portiere caraibico Conejo, che dopo il Mondiale andrà in Spagna, all’Albacete, “el Queso Mecanico” di Benito Floro che passerà in due anni, dal 1989 al 1991, dalla terza serie alla Liga. In uno strano incrocio di destini, sarà proprio l’Albacete la prima destinazione spagnola del “Gato” Keylor Navas, miglior portiere della Liga l’anno scorso e rivelazione del Mondiale del Brasile.
Il miracolo di Genova – Anche per l’ultima partita del girone, contro la Svezia, la Costa Rica gioca con le maglie della Juve. A Genova, si fa la storia. Dopo un’ora, gli scandinavi sono avanti 1-0. Milutinovic toglie Gomez per Medford e cambia la partita. È lui che si procura la punizione del pareggio, cross di Cayasso e testa proprio di Flores, è lui che buca la difesa e firma il gol della vittoria, il più importante nella storia del calcio costaricense. Il resto è ormai storia. Venglos, ct della Repubblica Ceca con un dottorato in psicologia dello sport, che andrà ad allenare l’Aston Villa senza successo (lui non capirà il calcio inglese, i giocatori non capiranno il suo inglese), ferma la favola della Costa Rica negli ottavi a suon di cross per la testa di Skhuravy. Conejo non si dà pace. “Le palle alte erano la mia specialità” ha spiegato in un intervista pubblicata sul sito della FIFA, “perdere così è stato come diplomarsi e poi non andare al ballo di fine anno”. In patria, i 22 cavalieri che fecero l’impresa tornano da eroi. E quei ricordi li hanno rivissuti e condivisi in un documentario uscito l’anno scorso: si chiama semplicemente “Italia ’90”, basta la parola. A mezzo secolo di distanza, l’eredità di quella nazionale è ancora viva, è ancora fortissima. Perché Flores e compagni non hanno solo portato la Costa Rica nella geografia del calcio globale. Hanno insegnato a sognare.