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Presidenza FIGC, il programma di Albertini: il vecchio che avanza

Dopo 8 anni da vicepresidente, Albertini si candida per la carica più alta alla FIGC. Eppure appare come l’uomo nuovo rispetto a Tavecchio, che guida la Lega Dilettanti dal 1999. Le priorità? Meno stranieri, valorizzazione dei vivai, tetto alle rose e seconde squadre.
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Uomo vecchio storia nuova. Demetrio Albertini, capo delegazione partito già dimissionario per il Brasile e tornato dal fallimento da candidato per la presidenza della Figc, ha tracciato le linee guida del suo programma, della sua personale filosofia del calcio. “In campo ho sempre fatto il regista: voglio provare a farlo anche in Federazione, mi metto a disposizione per cambiare marcia. Ho un sogno: che il campionato italiano torni il più bello del mondo, come era negli anni ‘90”. Per questo, spiega, "bisogna ripensare la governance della Lega e anche tutto il progetto sportivo: basta ridurre la serie A a una serie di numeri. Non bisogna più sottovalutare le differenze tra professionismo e dilettantismo. Non possiamo pensare di guardare al modello tedesco, siamo un altro paese con un’altra cultura. Ma l’obiettivo deve essere lo stesso: con una sola regola loro hanno il 34% di stranieri, noi con tante abbiamo il 65%”.

Il “gesuita” – A quasi 43 anni, quattro in più di Matteo Renzi, Albertini incarna le tentazioni giovanilistiche che già hanno aperto Palazzo Chigi. Come il Presidente del Consiglio, appare nuovo per anagrafe anche se nuovo non è. Trait d'union tra il Milan di Sacchi, dove inizia la trafila nelle giovanili, e quello di Capello che lo fa esordire in serie A e lo chiama “il gesuita” anche per il fratello prete, don Alessio, che su Demetrio ha anche scritto un libro, “Dall'oratorio alla nazionale”. In famiglia, ha raccontato, tifavano tutti per la Juve, ma i legami di sangue hanno prevalso sulle ragioni del cuore. In rossonero, Albertini ha riempito la bacheca personale con 5 scudetti, 4 supercoppe italiane, 3 Coppe dei Campioni, 3 Coppe Uefa, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale prima degli ultimi valzer. Alla Lazio prima (vincendo la coppa Italia), all'Atalanta nell'anno di Delio Rossi subentrato a Mandorlini sognando una salvezza impossibile, e infine a Barcellona per un canto del cigno in blaugrana. È l'estate di Calciopoli e il 16 maggio viene nominato vicecommissario della Figc, chiamato ad affiancare Guido Rossi dopo le dimissioni di Franco Carraro. Dal 2007 è vicepresidente della Federazione. È soprattutto lui a scegliere Roberto Donadoni come ct della nazionale dopo le dimissioni di Marcello Lippi e ad affidare l’under 21 al tandem Pierluigi Casiraghi-Gianfranco Zola.

Il confronto con Tavecchio – Nel confronto con Tavecchio, ex esponente DC e presidente della Lega Nazionale Dilettanti dal 1999, la differenza d'età spicca prima di ogni altro dettaglio. Tavecchio ha 71 anni, Albertini è nato nel '71. Una differenza che, naturalmente, non è di per sé giudizio di merito, che ha spaccato in due i potenti del calcio italiano. Cairo, Preziosi, Lotito e Galliani sono tutti pro-Tavecchio, che avrebbe in questo momento due terzi delle possibili preferenze e almeno 13 presidenti di serie A dalla sua parte. In più, intorno alla candidatura di Tavecchio si è coagulata anche la Lega di serie B, “nella speranza che intorno a lui possa crearsi il consenso di tutte le leghe”, ha spiegato il presidente Abodi, finora sempre prudente sull'argomento, al Fatto Quotidiano. Albertini parte in svantaggio, ma gode della stima dei calciatori, di Andrea Agnelli, Barbara Berlusconi e James Pallotta, che non hanno mai nascosto di aver voglia di novità e di freschezza nel mondo del calcio.

Differenze – La sfida di restituire competitività al calcio italiano, dopo il fallimento mondiale collettivo e individuale (solo 19 giocatori sui 184 nelle rose delle nazionali arrivate ai quarti militano in serie A), è ineludibile. Ma le strade possono diversificarsi. Tavecchio, come Lotito e Galliani, pensa a una serie A a 16 squadre e una B a 18. Albertini punta più al tetto alle rose (massimo 25 giocatori per squadra) e alle seconde squadre, secondo lui necessarie, da far crescere nelle serie minori come d'abitudine in Spagna. Entrambi vogliono ridurre il numero di stranieri: Tavecchio ha in mente di ridurre sic et simpliciter le possibilità di acquisto, Albertini è più orientato a forme di autoregolamentazione un po' come in Germania. A questo tema, si collega strettamente la questione di cui più si è parlato, e su cui meno si è intervenuto, nella storia recente del nostro calcio: i vivai. Tavecchio vorrebbe più soldi, ma è stato proprio lui l'artefice della norma-capestro sullo svincolo dei giovani dalle società dilettantistiche che ha depauperato un mondo che rappresenta la vera vocazione dello sport. Da regolamento, infatti, un calciatore rimane tesserato per una squadra dilettantistica dai 15 ai 25 anni e non può andarsene senza il permesso della società. In questo modo tante carriere si sono interrotte per l’ostruzionismo di qualche dirigente, fino all'assurdo di ragazzi costretti a pagare la propria squadra per tornare in possesso del cartellino. E pensare che fino al 2002 il vincolo era a vita. In più, a gennaio di quest'anno, con effetto retroattivo sul campionato appena concluso, ha aumentato le cifre per le iscrizioni dei giocatori ai vari settori giovanili: per i piccoli amici (5­-8 anni) da 3 a 10,60 euro, per pulcini e esordienti (9-­12 anni) da 9,50 a 19,31, per giovanissimi e allievi (13-­15 anni) da 15,50 a 19,31. Albertini guarda invece più al modello francese e tedesco, con la creazione di accademie federali e una formazione specifica per i tecnici dei settori giovanili. C'è accordo almeno  sul nome del prossimo ct. Negli ultimi giorni, infatti, anche Tavecchio ha iniziato a sponsorizzare la candidatura di Antonio Conte, il numero 1 nella lista di Albertini.

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