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Napoli in media retrocessione: 5 punti in 6 gare. E non è colpa degli arbitri

Un mese terribile ha rovinato la rimonta della squadra di Benitez: da quasi seconda a quinta, frenata da debolezze endemiche che né la società, né il tecnico sono mai riusciti a risolvere.
A cura di Maurizio De Santis
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Tre sconfitte, una vittoria, due pareggi. Sei gol fatti, otto subiti. Cinque punti in sei partite di campionato. Una media da retrocessione, non da squadra che lotta per andare in Champions e che ambisce a vincere l'Europa League. La realtà delle cifre fotografa l'insostenibile leggerezza dell'essere del Napoli di Rafa Benitez, un gigante dai piedi d'argilla franato anzitutto a causa delle proprie debolezze endemiche che né la società, né il tecnico sono mai riusciti a risolvere conferendo maggiore equilibrio, soprattutto nella fase difensiva. Dalla sconfitta di Palermo (14 febbraio) scaraventata sulle spalle di Rafael, il portiere massacrato per inesperienza e poca affidabilità (ma chi l'ha messo tra i pali non l'aveva capito di che pasta fosse?), fino al pareggio raccattato contro l'Atalanta ridotta in dieci e giustificato strepitando contro l'arbitraggio di Calvarese. Protagonista pure lui in negativo della serata, il direttore di gara dev'essersi adeguato alla mediocrità nella quale i partenopei sono precipitati dilapidando una rimonta che li aveva portati a ridosso della Roma, fino a insidiarne la seconda piazza.

E ora sono quinti (quasi sesti, in virtù del pari dell'Udinese con la Fiorentina), ai margini delle prime della classe. Ma la prestazione poco felice del ‘fischietto' non basta, non può bastare a spiegare la pericolosa involuzione degli azzurri che – oltre a gridare allo scandalo e al campionato falsato – rimpiangono l'assenza di un calciatore come Gargano in mediana. L'uruguaiano prima spedito in prestito, poi accolto di nuovo perché – tutto sommato – poteva tornare utile e non c'era da sborsare soldi, infine trasformato in colonna della zona nevralgica al punto da ritenere una iattura il suo infortunio. Centrocampo come una tonnara nel quale il Napoli v'affoga sia per l'integralismo tattico del tecnico spagnolo sia per i limiti – anzitutto sotto il profilo caratteriale, dell'approccio alla sfide – degli interpreti impiegati, incapaci perfino di reggere il confronto contro avversari che navigano a vista, poco al di sopra della linea di galleggiamento.

Nulla è perduto (ancora), il Napoli è in lotta su più fronti: può provare a invertire la tendenza, giocare col coltello tra i denti e – magari – risalire la china in campionato; è in semifinale di Coppa Italia (col leggero vantaggio acquisito sulla Lazio grazie al pareggio, 1-1, dell'Olimpico); nei quarti di Europa League è atteso dal confronto con il Wolfsburg (secondo in Bundesliga). Nulla è perduto, purché non ci si perda (ancora) in chiacchiere auto-assolutorie, alibi posticci, teorie complottiste proprie più di una squadretta di provincia affetta dalla sindrome di calimero che d'una grande squadra. Come gli azzurri hanno mostrato d'essere. Come dottor Jekyll e mister Hyde.

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