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Lo scandalo dei Mondiali 2022 in Qatar, tra schiavismo e sfruttamento sul lavoro

Anche nella terra degli emiri e dei ricchi arabi si nasconde la solita triste verità che circonda l’organizzazione dei grandi eventi sportivi.
A cura di Alessio Pediglieri
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Il Mondiale 2022 che si svolgerà nel ricco e opulento Qatar degli emiri e degli sceicchi sta vivendo in queste ore una realtà completamente differente, fatta di denunce per sfruttamento e di schiavismo nei confronti dei lavoratori che sono impiegati per la realizzazione delle strutture e di tutti gli apparati organizzativi della kermesse iridata. Non è certo una novità: da sempre, le grandi manifestazioni sportive internazionali hanno portato con sè strascichi di polemiche e problematiche pesantissime. Gli stessi Mondiali 2014 in Brasile sono stato teatro nell'ultima Confederations Cup di sit-in e scioperi di protesta; le Olimpiadi a Londra del 2012 hanno creato buchi economici rilevanti con costi a volte due-tre volte superiori a quelli preventivati. Per non parlare degli Europei di calcio nei Paesi dell'Est dove è proliferata la corruzione, la prostituzione e ogni altro giro malavitoso legata al mondo degli affari sporchi. Così, adesso tocca al Qatar che nell'immaginario collettivo ricopre un posto particolarmente privilegiato nel panorama mondiale, fatto di petrol-euro, nababbi col turbante e annoiate casate plurimiliardarie in cerca di nuovi investimenti.
Peccato che sotto il tappeto damascato sembrano nascondersi chili e chili di spazzatura.

Schiavismo e sfruttamento – L'accusa è arrivata attraverso le pagine del ‘Guardian' che ha denunciato lo sfruttamento nei confronti degli operai nepalesi impegnati nella costruzione delle infrastrutture. I giornalisti del tabloid inglese raccontano di immigrati trattati come schiavi e ridotti a clandestini, senza passaporto né stipendio, costretti a lavorare per 24 ore di fila e lasciati senz’acqua in pieno deserto con la minaccia di essere deportati. Un quadro allucinante, quasi inverosimile ma purtroppo reale. Perchè alle notizie si aggiungono dichiarazioni (ovviamente anonime) di condizioni di vita al limite dell'umano: "se scappassimo, diventeremmo dei clandestini e la polizia potrebbe beccarci e rispedirci a casa in qualunque momento" dice un lavoratore. "Quando mi sono lamentato, il mio capo mi ha aggredito e mi ha buttato fuori dal campo, rifiutandosi di pagarmi, e ho dovuto supplicare gli altri operai di darmi un po’ di cibo", aggiunge un altro.

Otto volte una gara di calcio – E le autorità? Ovviamente è scoppiato il coro di indignazione e di reprimenda da parte delle ditte appaltatrici, ignare di condizioni così disagiate, tanto che "stanno già conducendo un’indagine al riguardo" pronte ad adottare "tutte le misure necessarie per punire coloro che verranno riconosciuti colpevoli di aver infranto la legge o i contratti di lavoro". Ovviamente, come spesso accade in questi casi, tutti sanno da sempre tutto ma nessuno parla finchè la bolla non esplode. Adesso avverrà ciò che è già successo in occasioni passate: si troverà qualche capro espiatorio (già nel mirino, come le aziende subappaltatrici), si cercherà di volgere l'attenzione sul lato positivo della vicenda (ricordando i posti di lavoro creati, gli indotti che arriveranno, lo sviluppo territoriale che usufriirà della visibilità del Mondiale) e tutto pian piano andrà a scemare. Perchè, come dice il sotto segretario della Federazione Generale dei sindacati nepalesi si tornerà ad ignorare "che per costruire gli stadi della Coppa del Mondo molti immigrati hanno lavorato in turni che durano otto volte una partita di calcio".

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