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Lega Calcio divisa, cosa c’è da sapere: no delle big ai 60 milioni per le piccole

Lotito guida la fronda delle medio piccole. Vogliono una distribuzione più equa dei diritti tv. Juve, Milan, Napoli, Roma, Inter e Fiorentina abbandonano l’assemblea. Con la riforma dovrebbero rinunciare a una sessantina di milioni.
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La guerra dei Roses del calcio italiano non conosce confini. Al centro di tutto Lotito, che guida la fronda delle medio-piccole nella Lega di A. Chiedono un nuovo meccanismo di distribuzione dei diritti televisivi ma i rappresentanti di Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma e Fiorentina hanno abbandonato l'ultima assemblea. “C’è un’insanabile frattura" diceva Galliani fra le sei big che rappresentano l’80% dei tifosi italiani e le altre. "E’ impossibile allo stato attuale delle cose trovare una soluzione. Non sono possibili le proposte di modifiche, di criterio di ripartizione che sono arrivate. La Governance è una foglia di fico, il problema sono i diritti televisivi”. Con la nuova formula, infatti, le sei grandi finirebbero per rinunciare complessivamente a una sessantina di milioni a stagione in favore delle piccole.

La governance e il rischio commissariamento

L'ipotesi del commissariamento della Lega di A, ha sottolineato il presidente del Coni Malagò, diventa una soluzione indispensabile se non si trova l'accordo entro i tempi previsti. Possibile che un punto di compromesso si trovi sul piano della governance, come dimostra il documento di riforma in nove punti illustrato dal vice presidente dell'Udinese: “sì a un presidente di garanzia e un amministratore delegato con profilo internazionale e competenze su diritti tv e commerciale, entrambi membri di un consiglio di Lega a 7 assieme a 5 rappresentanti di club, lasciando aperta la possibilità che l’a.d. faccia anche il consigliere federale” sintetizza Marco Iaria sulla Gazzetta dello Sport. Ma il vero terreno di scontro è un altro, il solito: i diritti televisivi. Le piccole guidate da Lotito chiedono un meccanismo più equo di distribuzione, le grandi difendono le rendite di posizione e ostacolano una riforma che potrebbe ridurre il gap fra “ricchi” e “poveri” e togliere alle prime più di una decina di milioni. Ma per le riforme serve raggiungere il quorum di quindici votanti, e lo stallo rimane.

Diritti tv: il meccanismo attuale…

L'attuale meccanismo di distribuzione segue i principi definiti dalla legge Melandri. Il 40% è suddiviso in parti uguali, il 30% in base al bacino d’utenza (25% stabilito dalle ricerche sul tifo mai rese pubbliche e 5% legato ai dati Istat sulla popolazione residente nel Comune in cui gioca la squadra), l'ultimo 30% secondo i risultati: la storia sportiva (dal 1946-47) pesa per il 10%, la classifica dei cinque anni precedenti per il 15% e la stagione in corso vale solo un 5%. Le 14 medio piccole chiedono il passaggio a una formula 50-20-30: metà in parti uguali, 20% in base al bacini d'utenza, 30% in base ai risultati. Se approvata, la riforma farebbe scendere il rapporto first to last, fra chi guadagna di più e chi meno da 4,7:1 a 3,3:1. Ma toglierebbe alla Juve e alle altre big tra i dieci e i quindici milioni a stagione.

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Vediamo perché. Il 2015-16 è stata la prima stagione del nuovo ciclo dei diritti tv, il primo in sostanza dopo l'approvazione del contestatissimo bando che ha portato un incremento del 20% arrivate, al lordo, a 1,169 miliardi. Tolte le commissioni dell’advisor Infront (50,4 milioni) e le altre spese, il 10% per la mutualità generale del sistema (107,7 milioni), i premi per la Coppa Italia e i contributi per la B e i 60 milioni di paracadute per le retrocesse, le squadre si sono spartite 924,3 milioni netti. La ripartizione 40-30-30 si è applicata fino al montepremi netto della stagione precedente, 809 milioni Per i restanti 115,3 si è seguito un criterio sostanziale di merito: 46,1 milioni hanno arricchito la fetta da distribuire in parti uguali, i restanti 69,2 sono stati divisi in relazione alle posizioni di classifica (il 15% a testa per prima, seconda e terza; il 10% per quarta, quinta e sesta; l’8% per la settima; il 7% per l’ottava; il 5% per nona e decima, con un milione ciascuno per chi si piazza tra l’undicesimo e il diciassettesimo posto).

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… e la proposta di riforma

Per capire che effetti avrebbe la riforma, abbiamo provato a simulare l'applicazione dei criteri 50-20-30 all'attuale campionato, in base all'ultima classifica. Abbiamo mantenuto lo stesso paracadute, che le piccole vorrebbero legare a criteri percentuali, si parla del 6% del totale dei ricavi da distribuire in base ai punti totalizzati dalle retrocesse: ma il 6% della torta attuale risulta di una sessantina di milioni, per cui il calcolo non ne va a risentire.

Dal confronto, emerge in maniera lampante come le squadre di vertice, con la base di tifosi più ampia, perdono cifre superiori ai 10 milioni. La Juve rischia di dover rinunciare a quasi 20 milioni, il Milan 15, l'Inter 13 la Roma ne perderbbe 12, il Napoli 11. Perderebbero qualcosa anche la Fiorentina e la stessa Lazio, ma a guadagnarne sarebbe l'intero campionato. Si ridurrebbe di molto la forbice con le piccole e le neopromosse, che potrebbero così costruire rose più competitive ed evitare quegli effetti collaterali sull'appeal del campionato di cui Lotito, nel doppio ruolo di presidente della Lazio e consigliere federale, si era lamentato all'epoca della promozione del Carpi e del Frosinone, con ragioni economiche condivisibili al netto dell'ingiustificabilità della forma.

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Il precedente del 2003

Sembra di essere tornati, dunque, all'epoca delle sette sorelle, le grandi che hanno spinto nel 1999 verso il passaggio alla contrattazione individuale dei diritti tv: da allora e fino alla legge Melandri, infatti, ogni squadra trattava separatamente i diritti di trasmissione delle proprie gare interne. O ancora alla divisione del maggio 2003 fra le undici “medio piccole” riunite nel Plus Media Trading e le grandi forze del campionato da cui nacque di Gioco Calcio, la sgangherata pay tv partecipata dalla Lega che illuse sei squadre di A promettendo complessivamente 54 milioni che però non arrivano mai. I club saranno costretti, gli ultimi cederanno a marzo del 2004, ad accordarsi con Sky per cifre più basse. E non è escluso che la Lega, dopo l'esperienza di Serie A tv che trasmette in streaming via mobile tre partite a settimana, possa replicare l'esperienza con un partner finanziario più affidabile per il triennio 2018-2021.

Asta 2018-2021: scenari sempre più incerti

Lo scenario futuro, infatti, è quanto mai fumoso. La Lega e Infront sperano di portare il totale lordo a 1,4 miliardi, cercando soprattutto di potenziare la raccolta estera: in quest'ottica rientra la proposta di spezzettare ogni giornata con dieci fasce per dieci partite. Ma il disimpegno sempre più probabile di Mediaset, che potrebbe anche cedere a Sky i diritti della Champions, apre a nuove possibilità e nuovi soggetti come Discovery, che potrebbe entrare nella partita per la Serie A, o La 7 interessata alla Coppa Italia in caso la Rai dovesse fare un passo indietro.

I tifosi, dunque, dovranno cominciare ad abituarsi anche al derby di Milano all'ora di pranzo. E Sarri dovrà cedere all'unico colore che non conosce sconfitta nel calcio italiano e moderno, il colore dei soldi.

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