26 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

La Roma e il mistero Dzeko, l’uomo giusto nel posto sbagliato?

Continua il digiuno di Edin Dzeko. L’attaccante non riesce a inserirsi negli schemi della Roma. Proviamo a capire perché. Cosa può cambiare con Spalletti e gli arrivi di Perotti e di El Shaaarawy?
26 CONDIVISIONI
Immagine

La Roma e Džeko, un feeling che non c'è. Il bosniaco avrebbe dovuto essere la soluzione, l'ultimo tassello per il sogno scudetto. È diventato il problema principale di una squadra che recita a soggetto, che non ha capito come cambiare modo di giocare per sfruttarne le qualità. Džeko è diventato così l'uomo giusto nel posto e nel momento sbagliati, chiamato ad essere quello che non è in una squadra troppo camaleontica che ha smarrito la strada.

I difetti della Roma – Con Garcia, la Roma tendeva a cambiare assetto in base allo stile degli avversari. Più manovriera contro le big che amano aspettare e ripartire (59,3% del possesso a favore della Roma contro l’Inter, 61,3% contro la Juve a fine agosto), contropiedista contro le formazioni che cercano il gol attraverso il gioco (32,2% dcontro la Fiorentina, 39,8% con il Napoli). Una squadra reattiva, non proattiva, raccolta in un 4-1-4-1 tanto flessibile quanto poco efficace in fase di non possesso. L’atteggiamento passivo si riflette nelle due principali statistiche difensive di squadra: la Roma è la formazione che tenta meno tackle in Serie A, 13.6 a partita, e intercetta solo 1.7 palloni di media, comunque più di Inter e Napoli. Il dato ben racconta l'involuzione dei giallorossi, che toccavano i 20 contrasti difensivi a partita all'inizio dell’era Garcia. Quando la Roma non riesce a costringere gli avversari al lancio lungo, ripiega in un 5-4-1 compatto ma troppo basso, che tende a restringersi nella zona centrale man mano che le linee ripiegano verso la propria area di rigore.

Lanci lunghi – In questi frangenti, la prima alternativa è il lancio lungo a cercare Džeko, che in tutta la Serie A ha vinto meno duelli aerei a partita (3.8) solo di Pavoletti (4.5). È il segno di una squadra troppo spaccata, che in fase difensiva isola la punta centrale. Così gli esterni faticano di più e Dzeko è chiamato a ripiegare e a far da torre per far salire i compagni. Un compito che non svolge nemmeno troppo male, ma non è così che il bosniaco diventa il valore aggiunto della squadra.

Come gioca Džeko – In Germania, nel primo anno al Wolfsburg, si inserisce bene nel 4-2-3-1 di Magath che ha bisogno di un centravanti fisico come punto di riferimento in avanti. Dzeko però si trova meglio quando ha un compagno vicino che gli porta via un difensore e gli permette di giocare sull'uno contro uno. Magath adatta il suo sistema di gioco, passa al 4-3-1-2 e gli affianca Grafite. La coppia si aiuta e si completa. Dzeko non deve più abbassarsi con la stessa insistenza tra le linee per aiutare la fase offensiva e creare gli spazi per gli inserimenti dei trequartisti. La squadra finisce piuttosto di frequente per compattarsi in un 4-4-2 con gli esterni chiamati al cross anche dalla trequarti. Dzeko segna 25 gol in 27 partite, Grafite arriva a quota 28, anche grazie agli otto rigori. In quel momento, sono la coppia più prolifica nella storia della Bundesliga (superando quella formata da Gerd Müller-Uli Hoeness) e il Wolfsburg vince il suo unico titolo.

Dzeko al City – Al City, nelle quattro stagioni complete tra 2011 e 2015 segna 48 gol in Premier League. Nel periodo complessivo, solo quattro giocatori vanno a segno più volte. Ha una media invidiabile, una rete ogni 120.9 minuti. Tra i top-player della Premier, nelle ultime quattro stagioni solo Aguero ha fatto meglio. Solo dieci, però, le reti di testa. È il numero che più di tutti spiega la differenza fra Wolsburg e City e testimonia l'adattamento di Džeko a nuovi ritmi e a una diversa filosofia di gioco. Nel 4-2-3-1 di Mancini, il bosniaco parte spesso come riserva di Aguero, più adatto a una costruzione della manovra che passa per i movimenti e gli interscambi costanti tra gli attaccanti. Mancini fa alternare Tevez, Aguero, Silva, Nasri, Milner, ma tiene fissa la ricerca delle triangolazioni rapide. I cross alti diventano una soluzione di ripiego, e la punta centrale deve di nuovo, spesso, abbassarsi fra le linee e attaccare la profondità. Non va meglio nemmeno con Pellegrini. Džeko si adatta a un calcio di posizione, ma non diventa mai titolare fisso. Si sacrifica per una certa idea di squadra, non convince mai l'allenatore a cambiare idea di squadra per ottenere il massimo da lui.

Džeko alla Roma – E' lo stesso problema che trovato per tutta la stagione alla Roma. Con un centravanti di questo tipo, l'ideale è usare le fasce per arrivare al cross o, in alternativa, cercare la verticalizzazione immediata. Invece la Roma lo ha spesso costretto ad abbassarsi tra le linee, come se Dzeko dovesse ripercorrere la stessa interpretazione di Totti del ruolo di centravanti. Salah è riuscito solo a intermittenza ad aiutarlo, a liberargli più spazio intorno, e la squadra è spesso troppo lunga (30.28 metri in media all'Olimpico contro il Frosinone) per sfruttarne le sponde sulle seconde palle.

Cosa cambia con Spalletti – Con Spalletti, la Roma ricomincia dai movimenti base e da una fisionomia, ancora una volta nuova, ancora una volta inafferrabile. Il tecnico ha usato tre moduli in tre gare, ha provato il 4-2-3-1, il 4-4-2 e un 3-4-2-1 un po' improbabile a Torino con la Juve, messo in crisi dalla mancanza di automatismi con De Rossi difensore aggiunto. Spalletti ha già provato venti diversi giocatori e solo in quattro hanno mantenuto lo stesso ruolo nelle prime tre uscite della sua seconda gestione romana: Pjanic, Nainggolan, Salah e Džeko. Non può essere un caso. È la conferma che Spalletti sta cercando di esaltare le caratteristiche individuali, come dimostra lo spostamento a destra di Rudiger e l'avanzamento di Nainggolan che ora gioca molto più vicino alla porta. Contro il Verona, Nainggolan ha fatto quello che nello scacchiere di Garcia sarebbe stato richiesto a Salah. Si è alzato, ha giocato più vicino a Džeko, per sfruttarne le sponde e, in non possesso, per dare meno spazio al primo cervello della manovra avversaria. Spalletti ha chiesto a Digne di rimanere molto alto, e in fase di possesso i risultati si sono visti. Anche nel rendimento di Dzeko: nella foto a destra la sua partecipazione al gioco offensivo contro il Verona, a sinistra contro il Frosinone. Il bosniaco ha mancato, ancora, il gol ma si è dimostrato più presente in area e più centrale nella costruzione del gioco. Segnali apparentemente incoraggianti. Segnali in realtà isolati.

Immagine

Movimenti e tiri di Dzeko contro Frosinone (a sinistra) e Verona (a destra)

Vecchi difetti – A Torino, qualche traccia del lavoro di Spalletti si è visto. Ma è tornato il vecchio Dzeko, e non solo per demeriti suoi. La scelta di arretrare De Rossi e mettere Pjanic nel cuore del centrocampo danno un'indicazione chiara: il tecnico vuole aprirsi più soluzioni in fase di avvio della manovra. Ma la Juve pressa alto, la Roma senza palla si muove poco, così la soluzione spesso si riduce a una sola, il lancio lungo per Džeko. Ma il bosniaco perde troppi duelli aerei con Chiellini e Bonucci, e quando li vince ha vicino solo Salah con cui scambiare. Troppo facile per i bianconeri chiudere la linea di passaggio utile e neutralizzare le chances di scambio in velocità. I difetti di Dzeko si sono visti di più, però, contro il Frosinone (foto a sinistra). Al di là degli interventi di Leali, che ci mette del suo per allungare il suo digiuno, nei 59 in cui resta in campo, vive una gara a sprazzi. Svaria, cerca respiro a sinistra sfruttando l'asse con El Shaarawy. Ma i passaggi che riceve sono sempre troppo lontani dalla porta per consentirgli di cambiare l'inerzia della partita e della stagione.

Immagine

Passaggi ricevuti da Dzeko contro Frosinone (a sinistra) e Verona (a destra)

Il futuro – L'arrivo di El Shaarawy e soprattutto di Perotti possono aiutarlo. Soprattutto l'ex Genoa, a suo agio sia nel 3-4-3 che nel 4-3-3, ha le caratteristiche del giocatore che può riportare Džeko più vicino alla porta. Perché, negli schemi di Gasperini, è lui che si abbassa per venire a ricevere palla sulla fascia e mettere in moto l'interno di centrocampo o il terzino che si sovrappone. Un meccanismo che si potrebbe rivedere bene con Perotti pronto al dialogo con Nainggolan e/o Digne. El Monito legge bene il gioco, dribbla e verticalizza con facilità, tratti che si potrebbero, si dovrebbero integrare bene con un attaccante capace di sfruttare gli spazi anche senza palla come Džeko. Un attaccante che può finalmente diventare l'uomo giusto al posto giusto.

26 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views