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L’internazionale Mancini a lezione dal provinciale Sarri

Il Napoli ha battuto l’Inter al San Paolo grazie al solito, splendido, Higuain ma anche per il lavoro svolto dal tecnico che ha saputo dare la propria impronta ad una squadra che oggi è tra le migliori d’Europa. Al debutto sulla panchina di una big, senza mai aver vinto nulla, senza mai esserne protagonista. Il contrario del suo collega nerazzurro.
A cura di Alessio Pediglieri
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Il Napoli si è preso la vetta e lo ha fatto nella notte giusta, contro l'avversaria giusta, nel modo giusto. Vincendo contro l'Inter al San Paolo e scavalcandola in classifica. Un successo che rilancia ancora una volta di più le ambizioni dei partenopei che cammin facendo hanno imparato a conoscere e convivere con le proprie qualità e i margini di miglioramento. Merito di un super Pipita Higuain, di un Insigne finalmente maturo, di capitan Hamsik ritornato a sviolinare senza gli altri due tenori, di una difesa che ha in Albiol e Koulibaly due interpreti perfetti. Ma merito soprattutto di Maurizio Sarri, l'uomo venuto dalla periferia che ha saputo far meglio del suo collega nerazzurro Roberto Mancini.

Fedele alla linea – Proprio il confronto tra i due allenatori era uno dei temi caldi di quest'ultimo Napoli-Inter. Due tecnici agli antipodi per modo di porsi all'opinione pubblica e in campo, con i propri giocatori e la dirigenza. Maurizio Sarri è il Carneade assunto a novella icona che sta sempre più prendendo piede. Al debutto assoluto in un grande club dopo la gavetta trascorsa in periferia, non ha snaturato se stesso come è capitato ad altri suoi colleghi al momento di salire sul palcoscenico da protagonisti. A costo di rendersi impopolare e meno simpatico, ma restando fedele al proprio profilo.

Sarri, l'antidivo – Un profilo basso, fatto di mestiere quotidiano, di lavoro meticoloso, di analisi dei particolari. Tuta, droni, poche parole. Nessuno spazio per le passerelle, nessuna veste firmata o ciuffi impomatati: l'ex banchiere così era ad Arezzo, così è a Napoli a costo di passare per jettatore. Ma dimostrando che la costanza nelle proprie convinzioni paga. Se il Napoli oggi è lassù con un rendimento tra i migliori top club dei principali campionati europei lo deve proprio a lui.

Il Mancio del miracoli costosi – Non che Mancini sia diventato improvvisamente il diavolo. Forse perché lo è sempre stato il tecnico jesino dal parterre glorioso, abituato a farsi comprare ovunque gli uomini desiderati. Lo aveva fatto al suo debutto in nerazzurro, aveva replicato a Manchester, poi in Turchia al Galatasaray, infine nella sua Inter 2.0. Ben pagato (ha l'ingaggio più alto della Serie A), ben vestito, ben abituato. Di certo ha fatto meno gavetta, la fortuna e un po' di pubblic relations gli hanno permesso di bruciare le tappe e trovare qualche scorciatoia. Ha anche vinto di più. Però in sella sempre e solo a fuori serie disegnate su misura.

Non come Sarri che il suo Napoli se l'è costruito da solo, pezzo dopo pezzo, cercando i giocatori giusti e sapendo anche ammettere i propri sbagli (vedasi Valdifiori dall'Empoli, oggi panchinaro fisso) per dare spazio ad un gioco corale cresciuto sotto l'attenta osservazione giorno dopo giorno di un tecnico che ha ridato valore al significato della parola umiltà

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