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Inchiesta Fifa, l’ex capo delegazione azzurra: “In Corea è stata una truffa”

Raffaele Ranucci, oggi senatore del Pd ma al tempo dirigente nello staff italiano ai Mondiali del 2002, sfoga tutta la sua rabbia all’indomani dello scandalo che ha travolto il quartier generale della Fifa: “I nostri sospetti erano veri”.
A cura di Alberto Pucci
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Non sono bastati più di dieci anni per rimarginare una ferita profonda, come quella dell'eliminazione azzurra ai mondiali coreani del 2002. Le indagini e gli arresti dei giorni scorsi a Zurigo, hanno anzi gettato benzina sul fuoco e alimentato nuovamente la rabbia di tutto il popolo italiano per quella partita "surreale" e tragica con protagonista Byron Moreno. La sconfitta azzurra, passata alla storia come uno dei furti più grandi del calcio mondiale, torna d'attualità dopo l'inchiesta portata avanti dall'Fbi che ha messo in luce un giro pauroso di corruzione e riciclaggio, da parte di alcuni componenti dei vertici della Fifa. A distanza di anni, fa ancora male rivedere la direzione di gara di Byron Moreno, gli scatti d'ira di Giovanni Trapattoni davanti alla panchina, l'espulsione di Totti, il gol annullato a Tommasi, i rigori dati e non dati e la serata "storta" di Paolo Maldini. Di tutto questo, ma soprattutto del furto "legalizzato", è tornato a parlare Raffaele Ranucci che, dalle colonne de "La Repubblica", ha ribadito ciò che disse al ritorno in Italia da quella sciagurata spedizione: "Dichiarai subito che si trattava di una truffa – ricorda l'ex capo delegazione azzurro – Carraro disse che lo avrebbe fatto, ma fui io l'unico a farlo. L’inchiesta americana dimostra che i nostri sospetti di allora erano veri".

Come ricordato anche da Giovanni Trapattoni, nella recente intervista esclusiva rilasciata ai nostri microfoni, quella sera del giugno 2002 rimane una delle più brutte della storia della nostra nazionale. Una notte che ha lasciato il segno su molti di quei protagonisti che erano partiti dall'Italia con la convinzione di poter arrivare fino in fondo: "Purtroppo c'era e c'è ancora una commistione tra economia, calcio e politica. Fummo mandati a casa perché la Corea aveva il presidente federale candidato anche alla guida del Paese e, spesso, a Fifa ha influenzato anche la politica. Quando si organizza un mondiale in certi paesi, c'è l'interesse che la squadra locale abbia un buon successo e che vada avanti il più possibile – continua Ranucci, nell'intervista rilasciata al noto quotidiano – Questo perché è importante per le televisioni e per gli sponsor. Blatter? E' bene ricordare che, a Berlino, non si degnò neanche di venire a consegnarci la coppa".

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