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Il Grande Torino: Mazzola, il trio Nizza e i 10 granata in Nazionale

Tutti gli appassionati di calcio, o quasi, piangono ancora oggi quella formidabile squadra che, come scrisse Bergoglio, “forse era troppo meravigliosa perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza”. In occasione dell’inaugurazione del nuovo Filadelfia abbiamo provato a accendere nuovamente i riflettori sul Grande Torino, la squadra che solo il fato riuscì a fermare.
A cura di Vito Lamorte
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Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". (Indro Montanelli, dal Corriere della Sera del 7 maggio 1949).

Il calcio ha vissuto tante epoche, tanti cicli vincenti e diversi momenti di evoluzione nell'applicazione del gioco: dalla Juventus del quinquennio al Real Madrid delle sei Coppe, dalla Honved all'Inter di Herrera, dall'Ajax di Cruijff al Milan degli olandesi ma nessuna di queste squadre menzionate è entrato nell'immaginario collettivo come il Grande Torino. Quella squadra di grandi uomini e di formidabili campioni è passata direttamente alla leggenda, ha evitato ulteriori passaggi, e viene sempre ricordata con affetto da tutti coloro che davvero rispettano questo sport per quello che è e quello che è stato.

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In occasione della riapertura dello stadio Filadelfia, teatro di mille battaglie di quella straordinaria squadra, abbiamo cercato di accendere nuovamente i riflettori su quel collettivo che ha insegnato calcio in Italia per diversi anni e lo avrebbe fatto senza problemi anche in Europa se vi fossero state le competizioni internazionali. La verità è che nonostante siano passati tanti anni l'idea che prende sempre più corpo è che sulla collina di Superga un sogno si è infranto ma nei cuori di tanti ha trovato dimora una passione sana, vera e genuina.

Ferruccio Novo

Il primo vero presidente-manager del calcio italiano. Novo rilevò il Torino da Cuniberti che aveva provato a rilanciare la società ma i tentativi furono vani. I primi passi furono la costruzione di una società solida, formata da persone di fiducia; l'acquisizione di calciatori importanti e altri in rampa di lancio e il passaggio al WM. Dopo le prime vittorie il presidente Novo non si cullò e cercò di ritoccare sempre la sua rosa con uomini che avrebbero potuto dare qualcosa in più : venne fuori una macchina perfetta che schiacciava gli avversari in maniera netta e indiscutibile.

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Il sistema

Dopo il secondo posto nel torneo 1941/42 Novo chiamò un nuovo tecnico, András Kuttik, e impose un nuovo modulo che stava prendendo piede dalla scuola calcistica inglese. Dal classico schema 2-3-5 proprio del Metodo, si passava ad un innovativo 3-2-2-3, chiamato "Sistema", che nasceva per merito delle intuizioni di mister Herbert Chapman e trovò terreno fertile nel laboratorio dell’Arsenal. Il tecnico non si limitò ad arretrare il centromediano sulla linea dei terzini, ma lo trasformò anche nel fulcro della difesa togliendogli quindi ogni mansione di costruzione di gioco.

La migliore espressione italiana del "Sistema" fu proprio il Grande Torino: Ballarin, Rigamonti e Maroso a difesa di Bodoira prima e Bagicalupo poi, le mezzale Loik e Mazzola raramente retrocedevano a supporto della difesa perché dietro di loro c'erano due mediani del calibro di Castigliano e Grezar. Davanti le opzioni erano infinite: Gabetto era il centravanti mentre sulle ali c'erano Ossola, Menti e Ferraris II per due posti. Questa nuova composizione tattica permetteva di esaltare le singole individualità, sfruttando al massimo il potenziale tecnico dei vari calciatori: ognuno era specializzato nel proprio ruolo e più che una squadra di solisti sembrava di essere di fronte ad un'orchestra.

Gli allenatori

Al comando della squadra garante in quegli anni si sono alternati diversi uomini: Andreas Kuttic e successivamente Antonio Janni nel 1942-43; Luigi Ferrero nel 1945-46 e nel 1946-47; Roberto Copernico (direttore tecnico) e Mario Sperone nel 1947-48; Ernest Egri Erbstein (direttore tecnico) e Leslie Lievesley nel 1948-49, sostituiti dopo Superga nel finale di stagione da Roberto Copernico e Oberdan Ussello.

Mazzola e Loik, leader diversi

"Il più utile giocatore mai venuto al mondo". (Giampiero Boniperti su Valentino Mazzola)

Nel 1941/1942 il Torino a tre giornate dalla fine è solo al comando della classifica ma sulla strada verso il tricolore si mise di traverso il Venezia dei giovani Ezio Loik e Valentino Mazzola e lo scudetto è della Roma. Ferruccio Novo venne conquistato da questi due ragazzi, nati a 8 mesi di differenza nel 1919, e battendo la concorrenza bianconera li portò in granata. Con i due lagunari e il triestino Giuseppe Grezar nel 1942-43 iniziò il ciclo vincente del Torino.

Di Loik e Mazzola si diceva che fossero assolutamente complementari e non divisibili: un tandem che si integrava perfettamente in mezzo al campo. Valentino emergeva per la potenza, la continuità nell'azione, la classe, il controllo palla al piede; mentre Ezio si faceva notare per le sue caratteristiche di spola tra un reparto e l'altro. Intorno a loro si formò un collettivo che divenne insuperabile.

Il trio Nizza

Mario Rigamonti, Valerio Bacigalupo e Danilo Martelli erano i tre componenti del famigerato "Trio Nizza", tre pezzi importanti della rosa del Grande Torino che vivevano in una pensione proprio in zona Nizza, a due passi dal Filadelfia. Si trattava di un gruppo di scapoli che con la loro armonia e le loro goliardate  teneva vivo il rapporto del gruppo granata con la città nella vita quotidiana. A pensarci ora sembra quasi impossibile ma all'epoca era tutto molto molto diverso: i calciatori uscivano nei caffè, andavano in giro per la città senza troppi problemi e inutili tensioni.

10 granata in Nazionale

Nel 1913 la Pro Vercelli aveva fornito 9 uomini alla Nazio­nale e altrettanto fece la Juventus nel Mondiale 1978, la Fiorentina nel 1957 e l’Inter nel 1966. L'unica squadra a portare 10 uomini nella formazione titolare azzurra fu il Toro nel 1947. Si tratta di un primato inedito e ancora imbattuto: prima e dopo di allora nessun'altra rappresen­tativa azzurra si era e si sarebbe identifica­ta con una sola squadra. L’Italia con 10 granata era composta da Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ferraris II; l'unico "estraneo" era Sen­timenti IV, portiere della Juventus.

4 maggio 1949

La storia di quella meravigliosa squadra si fermò quel maledetto giorno di maggio: con il titolo ormai in tasca i granata andarono a Lisbona per la gara d'addio al calcio giocato del portoghese Ferreira, amico di Valentino Mazzola. L'aereo sarebbe dovuto atterrare a Malpensa dove li aspettava "Conte Rosso", il pullman della squadra, ma finì in una bufera di pioggia e di vento che annullò totalmente la visibilità. Tutto d'un tratto l'apparecchio si trovò di fronte alla basilica di Superga e l'impatto fu tremendo. In città si sentì un rumore fortissimo e il cielo nero trasmetteva già dei segnali negativi, qualcosa di terribile era appena accaduto e, difatti, delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno.

Valerio Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert.

Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri, Egri Erbstein, Leslie Lievesley, Osvaldo Cortina.

Renato Casalbore, Renato Tosatti, Luigi Cavallero, Pierluigi Meroni.

Celeste D'Inca, Cesare Biancardi, Antonio Pangrazi, Andrea Bonaiuti.

Una tragedia che spazzò via un collettivo che il calcio italiano non ritroverà più per anni, un modello compatto e vincente che aveva anticipato i tempi in tutto e per tutto. La maggior parte degli appassionati di calcio, o quasi, piangono ancora oggi quella formidabile squadra che, come scrisse Carlo Bergoglio, "forse era troppo meravigliosa perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza".

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