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Il ‘fideo’ Angel Di Maria: dalle miniere di carbone al Paris Saint-Germain

Angel Di Maria è una delle colonne dell’Argentina in Coppa del Mondo. La sua storia degli ultimi anni si dipana tra il Real Madrid, il Manchester United (i Reds hanno sborsato 80 milioni) e il Psg. Il Rosario Central pagò 36 palloni per portare nel proprio settore giovanile il ragazzo cresciuto a spalar carbone.
A cura di Maurizio De Santis
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Il Rosario Central lo portò in squadra per 36 palloni, il Manchester United ha sborsato una cifra di 80 milioni di euro perché indossasse la ‘sette' a Old Trafford. Angel come Best, Cantona, Beckham e Cristiano Ronaldo. Dall'Argentina alla Francia passando per l'Inghilterra, in mezzo c'è tutta la vita di Di Maria. Lo chiamavano il ‘fideo' (lo spaghetto) per la struttura fisica: chi l'avrebbe mai detto che quel ragazzino gracile, longilineo, con le braccia lunghissime e un'andatura caracollante sarebbe diventato uno dei calciatori più forti e pagati al mondo? Angel ha realizzato il sogno anche di papà Miguel, calciatore mancato: l'infortunio al ginocchio lo relegò tra le riserve del River Plate, a una vita a spezzarsi le reni in una miniera di carbone assieme a sua moglie Diana e ai tre figli impegnati nel trasporto e nelle consegne. "Quando seppe che mi voleva il Benfica – ha raccontato il calciatore a The Independent – mi disse: questi sono treni che passano solo una volta nella vita, prendilo e va per la tua strada. Guarda avanti, non voltarti. Quando ho accettato ero molto felice, non solo per me stesso ma anche per la mia famiglia. Dopo 16 anni passati a lavorare sotto terra e i tanti sacrifici fatti dissi ai miei genitori: adesso basta, a voi ci penso io".

A Perdriel, quartiere Ovest della provincia di Mendoza, la vita è durissima: la famiglia Di Maria tira a campare in condizioni difficili. Si sbarca il lunario, si vive con dignità ma con poche certezze che non siano mani nere come la pece, fronte madida di sudore e impastata dalla polvere, la luce fioca nelle gallerie e quella naturale, in fondo al tunnel. "Non dimenticherò mai – aggiunge Di Maria – quando mi comprarono le prime scarpe da calcio. E' un ricordo che porterò sempre con me. Mi regalarono un sogno, un'opportunità… perché se non avessi giocato a calcio credo che avrei continuato a lavorare in miniera. Cos'altro avrei potuto fare? Studiare? No, era un pessimo studente". 

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Bimbo iperattivo, rischiò di morire. Vivace, incontenibile, un ragazzino terribile e combina-guai, così si racconta Di Maria. "Avevo un anno, poco più. Camminavo nel girello e, in giardino, caddi in un pozzo. Mia madre riuscì a salvarmi e grazie a lei oggi sono qui a parlarne ancora. Sono sempre stato molto vivace, anche troppo… mia madre, preoccupata, mi portò addirittura da un medico e lui le consigliò di farmi giocare a calcio".

Una simpatica ‘canaglia'. A sei anni, Angel, era incorreggibile ma mostrava talento: se ne accorsero i tecnici di El Torito e poi quelli del Rosario Central che mandarono i loro scout a osservare questo fenomeno dalla corporatura minuta. "Per arrivare al campo d'allenamento ci voleva una mezz'ora buona – ha aggiunto Di Maria -. Mia madre mi ci portava in bicicletta… io, seduto, alle sue spalle e mia sorella sistemata quasi sul manubrio. Ha fatto tutto questo per sette anni, anche d'inverno. E oggi mi benedice, mi dà la forza prima di scendere in campo, accende per me una candela prima di ogni partita. Tutto questo fa parte di me, sono diventato un campione ma non ho perso la mia umiltà".  L'esordio in prima squadra avvenne nel 2005: lui e Aguero si ritrovarono l'uno di fronte all'altro. Angel con il Rosario, Sergio tra le fila dell'Indipendiente: entrambi scaleranno il grande calcio e arriveranno in vetta. Si ritroveranno compagni di nazionale nell'Argentina, avversari in campo allora come oggi da alfieri delle due Manchester. Strade diverse, stesso sogno in fondo al cuore. Perché è da questi particolari che si giudica un giocatore.

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