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Icardi, gli ultrà, il progetto, De Boer, San Siro. I 5 punti che spiegano il caos Inter

La lite Curva-Icardi è solo la punta dell’iceberg. L’argentino aveva già fatto braccio di ferro in estate per il rinnovo di contratto, ora si ritrova a doversi giustificare verso gli ultrà. Mentre la società latita, si contraddice, rincorre i problemi incapace di prevenirli. Tra un San Siro trasformatosi in incubo casalingo e De Boer con in mano un progetto che fa acqua ovunque.
A cura di Alessio Pediglieri
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La sconfitta contro il Cagliari sembra purtroppo la punta di un iceberg che galleggia oramai da troppo tempo nei mari nerazzurri, urtando di volta in volta qualsiasi prua si avvicini alla ricerca del tratto di mare ideale per prendere definitivamente il largo. Naufragi che si ripetono con una costanza  disarmante e che coinvolgono chiunque osi provarci. Figli di una società incapace di gestire le varie situazioni, assente nel manico, presente in modo contraddittorio nei suoi esponenti, mentre tutto scorre (troppo) velocemente. E se tra biografie non controllate, vecchie ruggini riaffiorate, progetti inesistenti, capitani (poco) coraggiosi perde la bussola anche il povero Handanovic, allora la confusione regna totale.

Icardi, capitano scomodo

Iniziamo dal principio e parliamo di Mauro Icardi. Capitano 23enne, già capocannoniere nel recente passato, oggi leader solitario di un attacco che vede in lui l'unico terminale offensivo di qualità, già a gamba tesa in estate con la società per il rinnovo di contratto e oggi in tackle duro con la Curva. Un giocatore che ha bisogno di segnare per essere accettato perché per il resto appare mal sopportato. Da una Curva che lo contesta con un comunicato di rottura completa, compagni che tacciono sul proprio capitano, una società che sbanda pericolosamente sulle scelte da attuare. E una vita ‘social' che ha fatto sempre discutere ponendolo al centro di triangoli amorosi e veti nazionali, tra frasi di troppo e comportamenti spesso sopra le linee.

Le contraddizioni in società

Sulle parole di Zanetti e Ausilio, più che sul pensiero ultrà su cui si può porre serenamente un velo pietoso, traspare il cortocircuito nerazzurro. Un vicepresidente che sbanda pericolosamente prima di un match ("Se Icardi ha fatto ciò non è degno di indossare la fascia da capitano, i tifosi vanno rispettati") ad un Ausilio che dopo le due scoppole del Cagliari si rimette in carreggiata ("domani parleremo con Icardi perché dobbiamo capire bene la situazione. Il libro? Non spettava a me leggerlo in anteprima"). Senza dimenticare nel mezzo una società inesistente nella proprietà, incapace di prevenire e curare, costretta a rincorrere i problemi e che lascia pubblicare e promuovere una biografia ad un 23enne, senza leggerne in bozza il contenuto che inevitabilmente la riguarda.

De Boer, tra incudine e martello

Con Icardi sempre più – fuori dal campo – cane sciolto e una società incapace di gestire e prevenire colpi e contraccolpi, c'è un Frank De Boer in balìa degli eventi. Il calcio di rigore a Icardi è un peccato capitale dell'olandese, al di là del clima intimidatorio nei confronti del capitano nerazzurro  prima e durante la gara. L'argentino aveva già sbagliato due degli ultimi tre penalty: averlo fatto calciare dagli undici metri, oggi, è stato un autentico harakiri inutile. Perché il giocatore non era nello stato mentale di far bene, perché in squadra avevi altri rigoristi (Candreva su tutti) e perché San Siro gli era ostile.

San Siro, la tomba dei risultati

La stessa San Siro in cui l'Inter non riesce più a vincere e imporsi, segnale inequivocabile di una paura e tensione che si palpa nell'aria. La squadra scende in campo in stato di soggezione nei confronti di un pubblico che la attende al varco, e puntualmente fallisce: nelle ultime 12 gare interne, non è un caso se l'Inter abbia vinto solo 1 volta, nella gara ‘perfetta' contro la Juventus. Che doveva essere quella della svolta ma che si è rivelata più deleteria che positiva, perché ha illuso su un progetto che è ancora lontano dall'essere tale.

Un gigante dai piedi d'argilla

E qui si arriva all'ultimo punto, quello di una progettazione che si sta rivelando – come si sapeva – inadatta al momento: tecnico arrivato in ritardo, preparazione estiva svolta solo in parte da giocatori oggi in rosa, acquisti arrivati a giochi chiusi – alcuni ancora oggetto del mistero come Gabigol. Un insieme che avrebbe bisogno di tempo per sedimentarsi, amalgamare e venire metabolizzato. Ma che di tempo non ne ha, visto che si scende in campo una volta ogni tre giorni e c'è l'obbligo di fare risultato. Non lo diciamo noi, lo ha confessato amaramente ancora Ausilio che nel dopo Cagliari ha aggiunto: "Ma l'obiettivo minimo rimane la Champions League, ci mancherebbe altro".
Auguri.

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