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Flessibilità, bonus, diritti d’immagine e rose meno ampie: tutte le strade che portano a un risanamento del calcio italiano

Non c’è possibilità di rinascita se non nel resettare l’attuale sistema gestionale. Davanti ad un deficit crescente, le società devono trovare un accordo che permetta di ridurre il monte stipendi e legare gli ingaggi ai risultati sportivi ottenuti. Come fa il Napoli.
A cura di Alessio Pediglieri
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debiti serie A

La Serie A e il calcio italiano continuano a viaggiare al di sopra dei propri mezzi. Nella stagione 2009-2010 il deficit è stato di 251 milioni di euro con un 68 per cento di fatturato che sparisce per pagare gli ingaggi di un monte-stipendi aumentato. Visto che in Italia, poi, non si può parlare mai di ‘salary cap’ (elemento distintivo ad esempio nel mondo dello sport americano) l’unica strada percorribile – anche per il resto d’Europa – è quella di un ‘gentlemen agreement’ (un accordo tra gentiluomini) tra tutti i presidenti dei club per calmierare i prezzi di compravendita dei giocatori, ogni stagione al rialzo. Ma visto che nel calcio – come nella vita – di gentiluomini ce n’è sempre meno, la vera via l’ha delineata Platini imponendo il Fair Play Finanziario oramai alle porte.

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L'AUSTERITY DELLE BIG DELLA SERIE A – I nuovi ricchi (sceicchi, russi e americani) hanno intanto alzato l’asticella invece di abbassarla, creando un ‘gap ‘ maggiore tra grandi e piccoli club del proprio campionato. Soprattutto al di fuori dell’Italia perché da noi, i Berlusconi, i Moratti e gli Agnelli stanno chiudendo pian piano i rubinetti lasciati per troppi anni, a sgocciolare. Le politiche economiche votate al risparmio, infatti, richiedono moltissimo tempo e una dedizione assoluta. Detto già in altra sede dell’austerity galoppante che si respira oggi all’Inter e che sta coinvolgendo direttamente anche il Milan, anche per la ‘spendacciona’ Juventus il trend è cambiato. Senza dimenticare l’investimento sul nuovo impianto dopo l'inaugurazione dello Juventus Stadium, nel bilancio intermedio al 31 marzo è stato registrato un aumento delle spese del personale da 94 a 98 milioni di euro, un ‘costo del lavoro’ che (se da un lato a goduto di un monte stipendi leggermente diminuito) ha subito l’effetto delle ‘buonuscite’ e degli ‘incentivi’ dati a giocatori oggi lontani da Torino (come Trezeguet e Casmoranesi per intenderci).

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IL CALCIO DEI PAPERON DE' PAPERONI – Dal 2005 ad oggi il calcio italiano ha bruciato sull'altare del calciomercato 627 milioni di euro. Quella appena chiusa è stata la settima stagione consecutiva con un saldo passivo, anche se contenuto (grazie a cessioni eccellenti) rispetto al passato. Il record del 2008-2009  con un evidente – 225 milioni complessivi tra le due sessioni di mercato (estiva e invernale di riparazione) è lontano ma solo due volte negli ultimi dieci anni abbiamo speso di più: nel 2008 e nel 2009. Nello stesso arco di tempo l'Europa che conta ha accumulato passivi per 3,8 miliardi di euro la metà dei quali a carico della Premier League che non ha mai chiuso una sessione in attivo e anche quest’anno l’Inghilterra è riuscita a fare peggio di noi  con un passivo di -217 milioni di euro. In testa alla classifica di chi ha speso di più ci sono due club in mano ai ‘nuovi ricchi' provenienti dall'Oriente: Manchester City (92,5 mln) e Psg (86,7 mln). Anche il Malaga ha aperto i cordoni della borsa accumulando un passivo di 58 milioni di euro grazie ai soldi arabi. Eppure, alle spalle di City e PSG, insieme al Chelsea, ci sono ancora dei club italiani come la  Juventus (un mercato complessivo di circa 86 mln) e la Roma dei DiBenedetto ( con oltre 78 mln investiti per nuovi arrivi). I giallorossi, in particolare, hanno firmato quattro dei sei acquisti più costosi per le società italiane, cioè Lamela, Osvaldo, Bojan e Pjanic.

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ROSE SEMPRE PIU' AMPIE – Inoltre, l’Italia si è ingolfata pian piano di rose sempre più grandi, con meno attori protagonisti e moltissime controfigure, esuberi, ritorni più o meno importanti, scontenti e giovani sconosciuti. Insomma, un popolo di calciatori qualitativamente inferiore ma più numeroso. Tutti elementi che ci portano a pensare che  – se non esce un nuovo Messi o un nuovo Ronaldo – sarà dura rivedere un club italiano ai vertici d’Europa. Il mercato italiano ha movimentato in tutto 915 calciatori e il saldo è positivo: +159 giocatori ma con un ‘distinguo’ importante: in Premier le società ne hanno acquistati 48 in più di quelli che hanno ceduto e il numero cala in Spagna (+15) e Germania (+7) per andare addirittura in negativo in Francia (-13).

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TRE SOLUZIONI IN CERCA D'AUTORE – La soluzione ci potrebbe essere e ha diverse sfaccettature.
La prima scelta potrebbe essere il varo del contributo di solidarietà. In Serie A 10 club su 20 (il 50%) hanno concordato gli stipendi al netto. Il prelievo del 3% sui redditi superiori ai 300 mila euro sarà mitigato dalle consistenti deduzioni che arriveranno a dimezzare l’esborso. Su un monte-stipendi complessivo attorno a 1,1 milioni lordi in Serie A, il contributo sarebbe pari a 33 milioni di euro annui ma le deduzioni fiscali da 14,2 milioni lo faranno scendere a 18,8 mln netti.
La seconda scelta è legata alla gestione dei diritti di immagine dei calciatori che potrebbero aiutare a riequilibrare i conti dissestati dei club. Si vuole ridiscutere con l’Aic la questione promo-pubblicitaria (ferma a norme degli anni ’80) con la possibilità di discutere la cessione dell’immagine dell’atleta, a fine commerciali. Il buon esempio arriva dal Napoli con de Laurentiis che sta già sfruttando questi diritti che corrispondono al 7% dell’attuale fatturato ed è un sistema maturato dal mondo del cinema dove l’attore promuove il film così come dovrebbe fare un giocatore per il club in cui lavora per attrarre i maggiori sponsor.
La terza scelta  è la flessibilità prevista nel nuovo contratto collettivo. Negli stipendi sopra i 400 mila euro la parte variabile non ha più limiti e la strada è quella che porta verso i contratti con ‘bonus’ e ‘benefit’ sportivi legati ai risultati. Se con i gol o le parate o le ottime prestazioni dei giocatori, una società fa bene nella competizione che affronta, arrivano soldi in più, altrimenti nulla di diverso da quanto concordato in contratto. In pratica, l’evoluzione dell’attuale premio extra oggi legato a presenze, assist o gol, molto meno produttivo di quanto sarebbe quello legato al valore dei risultati sportivi ottenuti dal collettivo.

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