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Ecco perché il Leicester in Italia non avrebbe mai potuto vincere

Un sistema di ripartizione dei diritti televisivi più democratico, stadi di proprietà, brand e merchandising in ascesa, fatturati da capogiro: tutti elementi che hanno permesso alle Foxes di competere con i migliori. Impossibile pensarlo in Serie A.
A cura di Alessio Pediglieri
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Leicester in trionfo per la vittoria del titolo in Premier
Leicester in trionfo per la vittoria del titolo in Premier

La favola straordinaria del Leicester in Italia non sarebbe mai stata possibile. Una cavalcata epocale da parte di un piccolo club alla conquista del massimo campionato nazionale, alla barba dei top club e dei pronostici. Con giocatori quasi sconosciuti, alla guida di un tecnico che mai aveva conquistato un titolo prima d'oggi, in una società piccola, acquistata da un magnate straniero, ricco e ambizioso. Tutti elementi che accomunano le Foxes a moltissimi altri club che militano anche in Serie A, ricercando fama e gloria, ma con un distinguo fondamentale: in Inghilterra le piccole realtà possono realizzare il sogno impossibile mentre in Italia questo miracolo è negato da regole e norme capestro, che aiutano sempre e soltanto i club più forti e titolati.

Favola Leicester, figlia della democratica Inghilterra

Innanzitutto, In Inghilterra vige una differente ripartizione dei diritti televisivi, studiata per garantire a tutte le partecipanti in Premier di godere delle medesime possibilità economiche di partenza. La suddivisione degli introiti provenienti dalla cessione delle partite ai media è di fatto una struttura creata in modo molto più equilibrato e funzionale, secondo un meccanismo preciso. In Inghilterra si fa prima di tutto distinzione tra i ricavi nazionali e quelli esteri: i diritti nazionali, che rappresentano il 61% del totale sono divisi tra tutti i club di Premier per il 50 % in parti uguali, il 25% a seconda del numero di volte che un club viene trasmesso in diretta e il 25% a seconda della classifica dell’anno. La cessione dei diritti televisivi per il mercato estero, che corrisponde invece al 39% del totale, è ripartita in parti uguali tra tutte le società.

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Il sistema italiano: statalizzato e assistenzialista

In pratica, le uniche distinzioni vengono adottate in stagione in corso: sulla griglia di partenza, tutti sono uguali sia il campione uscente dell'ultima stagione come il Chelsea, sia la piccola meteora Leicester, oggi trionfatrice. In Italia no. Il sistema della ripartizione dei diritti tv garantisce entrate imponenti ai soliti top club, a discapito dei piccoli, aumentando di fatto la forbice di pianificazione e di investimenti. Per fare un calcolo veloce, con il sistema italiano (su base degli accordi per il triennio 2015/2018) la Juventus ottiene dalla cessione circa 100 milioni a stagione, mentre il ventesimo club rimedia poco più di una ventina di milioni. In Inghilterra, il primo supera introiti per 130 milioni mentre il fanalino di coda può vantarne circa 80.

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In Premier più soldi per tutti, in Serie A ai soliti noti

Altro elemento fondamentale è che, comunque, in Inghilterra, le entrate derivanti dalla cessione dei diritti televisivi sono solo parte degli introiti per le società sportive. In Italia, invece, i milioni di euro che arrivano da reti satellitari, canali pay per view e concessioni in chiaro, rappresentano l'80-90% delle entrate. Ed è per questo che nel nostro  calcio il sistema privilegia i più forti, mantenendoli anche più ricchi, incapaci di utilizzare altri canali o di autosostenersi in una struttura più democratica e meritocratica, rispetto all'attuale assistenzialista e statale. E se da noi i ricavi tv all'anno arrivano a 1,3 milioni di euro, la Premier vanta a stagione un introito che sfiora i 7 milioni di euro (5 volte tanto).

Il campionato più ricco, contro quello più povero

Non è un caso che il Leicester abbia vinto nel campionato più ricco del mondo. Non è una contraddizione – anche se sembrerebbe sulla carta – ma una naturale conseguenza di una struttura federale volta a permettere a tutti i club di avere risorse importanti, senza guardarne la storia o le Coppe in bacheca. I diritti tv sono un ‘minimo sindacale' garantito a tutti, poi si passa agli introiti derivanti dagli impianti di proprietà (in Inghilterra tutti i club hanno il proprio stadio, in Italia è il contrario) e dal merchandising. I tifosi riempiono gli impianti e lo sviluppo dei brand si sviluppano a macchia d'olio su tutto il pianeta rendendo il campionato di calcio inglese una potenza mediatica pari alla Nba o alla Nfl.

La Premier detta i prezzi del calciomercato

Tutto ciò si trasforma in maggiori possibilità per tutti. Anche da un punto di vista di investimenti e di mercato. Negli ultimi cinque/sei anni la Premier detta il prezzo dei giocatori e tutti (dal Manchester al Leicester prima che divenisse campione) possono acquistare giocatori a prezzi impossibili per la Serie A. Un esempio recente? Il Newcastle, oggi ad un passo dalla retrocessione, a gennaio ha speso quasi 30 milioni per due giocatori, così come il piccolo Bournemouth che ha messo nelle casse della Roma 22 milioni in contanti per acquistare Iturbe. Prezzi che in Italia nemmeno la Juve dominatrice da cinque stagioni consecutive può vantare.

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