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Copa America 1975: Oblitas, il Cile e la paternità della rovesciata

I peruviani la chiamano “chalaca”. Per il resto del Sudamerica è la “chilena”. Per noi è la rovesciata. Segna così Oblitas, proprio al Cile, in Copa America 1975. E riapre una diatriba infinita sulla paternità del gesto. Il gol lancia il trionfo della generazione d’oro del calcio peruviano.
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Lo chiamavano El Ciego, il Cieco, perché giocava con le lenti a contatto. Ma la porta, Juan Carlos Oblitas, tra i più grandi marcatori nella storia della nazionale peruviana, la vedeva benissimo. E il suo gol al Cile nel girone di primo turno di Copa America 1975 ha riaperto una diatriba che origini antiche e non avrà mai fine: chi ha inventato la rovesciata?

La chalaca peruviana – Nasce vicino al mare, Oblitas, a Mollendo, pueblo della provincia di Ismay, il porto più importante del Perù meridionale. Attaccante non altissimo (1,76 m), ma rapidissimo e capace di colpire in corsa, in anticipo suo tempi, all’Universitario de Lima, la Crema, che porta al secondo posto in Libertadores nel 1972 sconfitto dall’Independiente, forma con Cachito Ramirez una delle coppie d’attacco più forti del Sudamerica. È nato vicino al mare, come il gesto che divide Perù e Cile più della linea di faglia, barriera e monito per due nazioni abituate alla precarietà. Stando alla versione peruviana, la bicicletta, la rovesciata, il gesto che ha fatto innamorare generazioni di italiani con la sagoma di Carlo Parola sugli album e le bustine di figurine, sarebbe nata alla fine dell’Ottocento intorno al porto di Callao, il più importante del Paese. Qui i marinai delle navi britanniche scendono con i primi palloni. Qui, secondo la leggenda, impossibile da provare o da confutare, un portuale di colore, in una partita mista fra lavoratori locali e marinai inglesi, avrebbe segnato in rovesciata. E il gesto, da quel giorno, da queste parti diventa la “chalaca” perché così si chiamano gli abitanti di Callao, i chalacos, e così si chiama il pesce tipico di quelle coste.

La chilena – Per il resto del Sudamerica, però, quella di Oblitas nel 3-1 al Cile, fondamentale per il passaggio in semifinale, non è una “chalaca”, è una “chilena”. Perché è proprio la nazione che ospita la Copa America 2015, l’unica tra i quattro membri fondatori del CONMEBOL a non averla mai vinta, a rivendicarne la paternità. Merito di Ramon Unzaga Asla, basco di Bilbao emigrato quando ha 12 anni al porto di Talcahuano, sull’Oceano Pacifico. A 18 anni prende la nazionalità cilena e comincia a giocare per l’Estrella de Mar di Talcahuano. Con quella maglia, allo stadio El Morro, Unzaga mostra una giocata che lì nessuno ha mai visto. Si alza in aria, colpisce al volo con la schiena rivolta a terra e le gambe al cielo e segna. Quella magia così spettacolare che rovescia la gravità e le prospettive sul gioco diventa la “chorera”, dal soprannome degli abitanti di Talcahuano, detti appunto “choreros”, che deriva dal termine di lingua nativa quechua per chiamare le cozze. Alcuni dei primi arbitri, perplessi, fischiano fallo per gioco pericoloso. Unzaga partecipa più volte alla Copa America e sfodera le sue “choreras” davanti ai giornalisti di mezzo continente soprattutto nell’edizione del 1920. La stampa uruguayana conia un’altra definizione, la chiama “trizaga”, perché il numero di Unzaga vale per tre. Ma sono gli argentini a immortalare la rovesciata con il nome che per molti la identifica ancora oggi: sono loro i primi a chiamarla “la chilena”.

Unzaga e il suo erede – Unzaga, che pratica anche atletica, nuoto e pallanuoto, muore giovane, come gli eroi, a 29 anni nel 1923 per arresto cardiaco. Gli dedicano lo stadio El Morro e una via, Calle Ramom Unzaga. Il Cile trova subito il suo erede, David Arellano, leggenda e co-fondatore del Colo Colo. Nel 1927 incanta la Spagna in una tournée in Europa ma il 2 maggio, durante un’amichevole a Valladolid, subisce un forte colpo all’addome. Soffre già di ernia e quella botta, che forse si è inflitto da solo tentando una delle sue rovesciate, gli provoca una peritonite, non operabile per gli standard dell’epoca. Così in campo, mentre fa quel che ama di più, Arellano muore. A lui è intitolato il Monumental di Santiago.

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Oblitas rilancia – Con la rovesciata del 1975, Oblitas non solo permette al Perù di passare in semifinale, ma rilancia una rivalità atavica sulla paternità di quel gesto. La formula del torneo è particolare. Non c’è una sede: le squadre, divise in gruppi da tre, si sfidano in partite di andata e ritorno. Allo stesso modo si disputano semifinali e finale. Per un posto in finale, la Blanquirroja affronta il Brasile. I verdeoro non sono più quelli dell’Azteca, ma i peruviani la vivono comunque come la rivincita di Messico ’70. A Belo Horizonte, Enrique Casaretto, attaccante dello Sporting Cristal, segna una doppietta che cambia la storia. Va in gol anche Teofilo Cubillas, il più grande calciatore peruviano di tutti i tempi, votato dall’IFFHS uno dei migliori giocatori del Sudamerica, considerato da Pelè tra i 100 giocatori più forti del mondo. Sarebbe un centrocampista, ma gioca praticamente ovunque, segna 338 gol in carriera, 26 in nazionale: è il primo a marcare più di cinque reti in almeno due edizioni della Coppa del Mondo, primato eguagliato solo da Miro Klose. Icona dell’Allianza Lima, nel 1972 è capocannoniere della Libertadores e pallone d’oro sudamericano.

Lo nota il Basilea, che lo acquista per 100 mila sterline. Resta in Svizzera un anno, poi passa al Porto per una cifra doppia. In tre stagioni segna 65 reti, prima di iniziare la fase calante tra Lima e gli Stati Uniti (Strikers, California Sun e Miami Sharks). “Se rinascessi” ha sempre detto, “non cambierei niente: nascerei ancora in Perù, sarei sempre calciatore e inizierei con l’Alianza Lima”. Il Mineirazo, però, è solo il primo tempo della semifinale. Al ritorno, al Calderon, i verdeoro vincono 2-0. Il regolamento non prevede alcun vantaggio per chi segna più gol in trasferta, e lo spareggio vale solo per la finale. Ci si affida, come per la semifinale europea tra Italia e Urss, alla monetina. La dea bendata sorride al Perù, che si gioca il titolo con la Colombia, che ha vinto il girone e battuto 3-0 in casa l’Uruguay in semifinale

La finale – La squadra allenata da Sanchez è trascinata da stelle come Willington Ortiz, Diego Umana, il bomber Josè Ernesto Diaz e Ponciano Castro, che segna il gol-vittoria nell’1-0 dell’andata a Bogotà. A Lima l’atmosfera è incredibile. In un anno, la nazione è passata dalla delusione per la mancata qualificazione ai Mondiali del 1974 al sogno di rivincere la Copa America dopo il primo, e fino a quel momento unico, successo del 1939. Merito dell’allenatore Calderon, chiamato sulla panchina proprio dopo il fallimento pre-Mondiale, e di una generazione che probabilmente in Perù non tornerà mai più. Oblitas, l’esterno mancino dal gol facile che ha messo ko il Cile, pareggia lo svantaggio in uno stadio infuocato, che diventa bollente dopo il 2-0 di Oswaldo Ramirez, il secondo miglior marcatore di tutti i tempi della nazionale: ne ha segnati 17 in 57 partite, compresa la doppietta che elimina l’Argentina nella corsa al Mundial di Messico ’70.

Stavolta, si gioca “la bella” in campo neutro, a Caracas, in Venezuela. Calderon può contare anche su Hugo Sotil, mezzapunta di classe purissima che ha debuttato in nazionale nel 1969 e nel solo secondo tempo ha segnato 3 gol alla Bulgaria (il Perù vincerà 5-3). Gioca a Barcellona, accanto a Johann Cruijff, e spesso i blaugrana gli negano il permesso di volare oltreoceano per la Copa America. Leggenda vuole che arrivi a Caracas a pochi minuti dal fischio d’inizio e si unisca ai compagni direttamente in spogliatoio, un attimo prima della consegna della distinta ufficiale. Il finale di partita è praticamente già scritto. Perù 1, Colombia 0, gol vittoria di Sutil. What else?

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