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L'ultima partita di Totti con la Roma

Ciao, Totti. Il capitano si ritira ma avrebbe meritato un addio migliore

Il simbolo della Roma ‘spedito in pensione’ durante una conferenza stampa e in sua assenza. Possibile che una bandiera, un campione del calcio italiano riconosciuto a livello internazionale non meritasse trattamento diverso?
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"So che Francesco ha un accordo col club per diventare dirigente dopo questo suo ultimo anno da calciatore. Voglio che Totti mi spieghi e mi faccia capire la Roma. Se riuscirò a sapere un 1% di quello che sa lui, sarò soddisfatto". È bastato meno di un giorno a Monchi, nella Roma giallorossa e manichea, per farsi già più di qualche nemico. Il nuovo direttore sportivo, hanno detto e scritto, ha “pensionato” il capitano, gli ha mancato di rispetto. Gli hanno attribuite come nuove parole che in realtà nuove non sono. Ma l'equivoco tra essere e sembrare è buono per vendere detersivi. Non dovrebbe accendere nessuna polemica, se ci si fermasse a considerare che la Roma già un anno fa comunicò quello che Monchi ha ribadito e che qualche giorno prima Baldissoni aveva confermato.

totti addio
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Il ds, dicono, ha la colpa di non aver capito l’ambiente romano. C'è chi lo paragona al primo Luis Enrique, un uomo tutto d'un pezzo lancia in resta in un mondo che non conosce. Molti parlano di coraggio. Ma i coraggiosi, scriveva Stephen King, sanno pensare. Dove sia il pensiero, e dove l'improvvisazione cieca e genuinamente passionale, è piuttosto chiaro. "Tra i motivi che mi hanno spinto a venire alla Roma c'è anche Luciano Spalletti, un allenatore importante. Conservo la speranza che possa restare con noi" ha aggiunto in presentazione. "I tifosi della Roma meritano di veder realizzati i propri sogni ed io sono qui per cercare di realizzare questi sogni, ma dobbiamo remare tutti nella stessa direzione".

Già Florenzi, che ha svelato anche edificanti dettagli sull'amicizia con De Rossi e sullo spessore umano dell'ormai godotiano Capitan Futuro, si è già schierato dalla parte del simbolo, dell'icona. "La Roma senza Totti non esiste – ha detto – sarà un lutto quando smetterà, ma Francesco è padrone del proprio destino e, qualora decidesse di appendere gli scarpini al chiodo, farà sempre parte della Roma. Lui è la Roma ed è la storia per ciò che ha fatto".

Una storia che Monchi non ha nessuna intenzione di dimenticare. Ramón Rodríguez Verdejo, ex portiere di riserva del Siviglia nato a Cadice, a non più di due ore di macchina, ha costruito tutta la sua storia nel nome e nel segno dell'identità forte con la squadra. Ha vissuto da compagno di squadra la stagione in chiaroscuro di Maradona, che diventa suo amico e gli regala un Cartier nuovo. Ha regalato ai Rojiblancos un quindicennio senza precedenti. Chiamato nel 2000, con la squadra in Segunda División e in crisi, lo chiamano come delegato di squadra: da lì a direttore sportivo il passo è breve.

Monchi, o sarebbe meglio dire “Re Mida”, compra bene e vende meglio. Dani Alves gli deve molto della sua carriera blaugrana e bianconera, se Keita è passato da Roma il merito è suo. Soprattutto Sergio Ramos avrebbe potuto non essere l'uomo chiave della Decima del Real senza di lui. Valorizza Antonio Reyes, Jesús Navas, Julio Baptista. Vince nove trofei, parla quattro lingue, ha una rete di una ventina di scout e monitora 250 giocatori, divisi per ruolo e posizione. Ha lasciato in lacrime, baciando le zolle del terreno di gioco con la maglia di Puerta. Monchi è uomo di legami forti, di identità da raccontare nel segno del pallone. Valori che a Roma, nella Roma giallorossa e manichea, fanno la differenza.

Società razionale, business-oriented e cuore. Perché in questo calcio moderno, nella capitale dell'impero che ancora vive sulle rovine della grande bellezza, tra prigionia del sogno e piccoli campanilismi, si misura una distanza, si riaccende una speranza. La distanza, atlantica direbbe Fossati, è quella che separa il cervello americano di una società razionale e business-oriented dal cuore che ragioni non conosce, che vive d'orgoglio, d'amore e per conseguenza di iperboliche passioni e delusioni. La speranza, che Totti ha incarnato senza mai cambiar bandiera, simbolo di identificazione stabile nella liquidità dei legami pallonari, ha il sapore un po' retrò delle parole antiquate, della reazione al senso ormai sempre più comune per cui tutti hanno un prezzo e niente, nessuno, ha un valore.

‘Bimbo de oro'. Sono proprio i valori, almeno sbandierati a mo' di vessillo, che hanno spinto la Roma giallorossa verso il “Bimbo de oro” (Carlo Zampa dixit), contro tutto e tutti, Spalletti compreso. Il rispetto invocato, strillato, gridato in radio e sulle prime pagine dei giornali ha diviso il tecnico che voleva solo vincere le partite, disposto ad andarsene se dovesse mancare il traguardo, e un campione che come e più degli altri dovrebbe andare nella direzione della ricerca della vittoria. Nel nome dell'amore e della maglia.

Spiccioli di gara. I gol passati, le sere di coppe e di campioni, non cambiano e non cancellano il presente di una bandiera che da gennaio ha giocato da titolare solo nel ritorno di Europa League contro il Villarreal e in Coppa Italia col Cesena. In campionato, dopo i 27′ contro l'Udinese non è mai entrato prima del 73′, con la squadra che via via ha perso tutti gli obiettivi della stagione.

Totti, al momento terzo per presenze in Serie A dietro Maldini e Buffon, 783 in assoluto dopo il derby con 307 gol, nessuno più importante della rete per lo scudetto del 2001 al Parma. Più anziano marcatore nella storia della Champions League, omaggiato e celebrato nel mondo, Totti unisce e insieme divide.

Serviva il coraggio di dire che questo era il suo ultimo anno. Hanno fatto arrivare apposta dalla Spagna uno che potesse comunicare una scelta così – ha detto a Repubblica –. Francesco dalla Roma è stato tenuto fino alla fine, come Baresi e Maldini. Lasciare il campo è difficile, si pensa sempre di poter dare qualcosa. A volte cambi perché ti senti meno amato, o magari perché cambi società e non avverti la stima. Lui è amato, coccolato dal suo pubblico, diventa dura smettere. Come dicevo, successe lo stesso a Baresi e Maldini: sono pochi eletti, parliamo del top del top.

Ma è davvero coraggio il ripetere quanto in fondo già si conosce? Il semplice riaffermare una verità già nota? Ah che disgrazia le questioni di stile…

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