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Champions, il crollo della Roma e i tre errori capitali di Garcia

Insistere su un inesistente Gervinho, sbagliare i cambi negli uomini e nei tempi, non dare alla squadra la solidità psicologica nei match che contano. E contro il City sarà una partita decisiva…
A cura di Alessio Pediglieri
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Il pareggio di Mosca è arrivato, per dirla alla Totti, come un pugno in pieno volto sferrato da Tyson, roba da ko tecnico e ricovero in ospedale. Psicologicamente i giallorossi, che torneranno dalla Russia solamente in giornata, stanno un po' come quei pugili che alla vigilia rilasciano dichiarazioni baldanzose e poi si ritrovano riversi sul ring al primo minuto del secondo round dopo essersi esaltati per aver resistito i primi due minuti d'incontro. Non che la Roma nel gelo di Mosca  (climatico ma anche di uno stadio deserto per la squalifica dei tifosi del Cska) avesse di fronte un peso massimo assoluto, anzi. I russi hanno confermato di essere una formazione che non appena la si pressa, va puntualmente in confusione. Lo aveva dimostrato nel match contro la Roma all'Olimpico al debutto di Champions e lo ha ribadito nei primi 45 minuti ieri sera. Quando la Roma, pur non giocando bene, aveva comunque messo in affanno la difesa del Cska e trovato il jolly su punizione con la sberla del Capitano al 43′ minuto, quasi all'intervallo. Tutti elementi che messi insieme avrebbero dovuto permettere ai giallorossi di intraprendere una ripresa con il giusto rigore psicologico e la tranquillità di chi, comunque, giocando appena sopra la sufficienza, avrebbe portato a casa l'intera posta e la qualificazione prodigiosa con un turno d'anticipo.

Primo errore: insistere con Gervinho. Invece, proprio quella "sufficienza" che sarebbe potuta bastare si è trasformata in apatia, subendo l'ovvio e prevedibile ritorno del Cska che sotto di 1-0 si ritrovava fuori dalla competizione. Nel secondo tempo, infatti, non si è vista se non a sprazzi, la Roma dei primi 45 minuti, ridiscesa in campo con gli stessi undici undicesimi malgrado qualche interprete non avesse per nulla convinto. Come Gervinho, avulso elemento del tridente con Ljaijc e Totti. L'ivoriano, giustamente schierato dal primo minuto da Garcia in campo di fronte alla statica difesa russa, è rimasto col motore congelato per tutto il tempo, mai affondando in velocità e pasticciando come ai tempi dell'Arsenal nelle pochissime azioni che avrebbero potuto creare patemi agli avversari. Perché riproporlo ancora nel secondo tempo? Garcia in panchina, almeno in avanti aveva un'alternativa valida che portava il nome di Iturbe insieme a Destro. Poco conta se l'ex Verona non fosse al cento per cento o se l'ex Cesena dovesse venire risparmiato in vista dell'Inter. In gioco c'era una posta più alta di qualsiasi speculazione e Garcia ha peccato di decisione.

Secondo errore: togliere Nainggolan. Con un attaccante imballato e cambiato in ritardo (solamente al 77′ c'è stato il cambio per Iturbe), la squadra è andata in sofferenza per troppo tempo. Se da un lato la ripresa aveva anche messo in risalto lo spirito di sacrificio degli uomini in campo, con Florenzi terzino destro, Manolas impeccabile al centro della difesa e il solito gladiatore De Rossi, Garcia ha costretto ad andare in apnea il reparto che avrebbe dovuto (e potuto) fare la differenza: il centrocampo. Senza una punta capace di tenere bassa la difesa avversaria, il Cska ha messo pressione a Keita e compagni che hanno pagato un primo tempo giocato decisamente a ritmi più elevati. E non è servito a nulla – se non ad andare in confusione – il doppio cambio tra l'83' e l'86' quando oramai quasi tutti gli uomini erano sulle gambe, assediati dal Cska. Tanto più se si pensa che Garcia va a togliere il migliore della mediana, Nainggolan, per inserire il rientrante Strootman, in un finale tutto muscoli e fisico in cui il belga stava facendo la differenza. Inutile, poi, anche l'entrata di Pjanic a 4 dal termine per un Ljaijc il cui cerino si era spento già almeno 20 minuti prima.

Terzo errore: crollare nei match che contano. Insomma, Garcia nella notte di Mosca non ne ha azzeccata una, malgrado le attenuanti ci fossero per una rosa che presentava defezioni un po' in ogni dove. Eppure la sensazione – e la certezza – è che l'affanno e la confusione nel concitato finale se le sia un po' cercate anche lui, incapace al contrario che in altre occasioni, di leggere nel modo corretto la partita. Nel momento in cui la Roma avrebbe dovuto e potuto dimostrarsi una grande squadra, si è rivelata ancora con una mentalità lontanissima da chi può e sa di dire la sua in Europa. Perché c'è un altro dato importante con cui dover fare i conti in vista del match decisivo contro il Manchester City all'Olimpico. In questa stagione, ogni volta che la Roma doveva dimostrare il salto di qualità e fare il tanto atteso salto di qualità, ha fallito. In campionato nella sfida delle polemiche contro la Juventus, dove comunque i bianconeri sono stati superiori o a Napoli dove si è assistito ad una lezione da parte dei partenopei. E in Champions League dove al fallimento dell'Olimpico contro il Bayern Monaco è mancato anche il riscatto all'Allianz Arena.

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