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Balotelli al Liverpool: Raiola festeggia, i milanisti pure

Con il ritorno in Inghiterra, si chiude definitivamente l’esperienza milanese di Mario Balotelli: giocatore bizzoso, sopravvalutato e, certamente, poco amato dai tifosi rossoneri.
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A cura di Alberto Pucci
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Mario Balotelli è un ex giocatore del Milan. La notizia deflagrata a Milanello nel bel mezzo della rifinitura degli Inzaghi's boys, ha colto un po' tutti di sorpresa, nonostante l'avvistamento dell'agente del giocatore, nelle scorse ore, nel centro sportivo rossonero. La cessione, ovviamente, divide la tifoseria. C'è chi non è d'accordo (specialmente per il prezzo) e chi festeggia, come nel caso del massimo dirigente rossonero. Alla fine, come spesso accade, ha vinto il presidente Berlusconi che non ha mai accettato (e con lui, la quasi totalità del popolo milanista) che Mario Balotelli vestisse la gloriosa maglia che, un tempo, fu dei vari Van Basten, Baresi e Maldini. La "mela marcia" (parole presidenziali datate gennaio 2013) ha finito per cadere dal ramo milanista e rotolare in direzione Inghilterra dove (chissà perché) continuano, nonostante polemiche e risse dentro e fuori dal campo, ad accoglierlo a braccia aperte. "Super Mario" (o, se volete, "Bad Mario"…a seconda dei punti di vista), chiude definitivamente la sua avventura a Milano: città con la quale si lascia ancora una volta in maniera traumatica.

Mario è cambiato? – La domanda che accompagna il suo ritorno a Milano, è sempre quella. Può, un giocatore "crazy" come lui, mettere la testa a posto ed esplodere definitivamente consacrandosi tra i più forti? L'esordio, nel febbraio 2013, sembra dare ragione ai benpensanti e agli ottimisti. Mario gioca una grande partita e abbatte l'Udinese con due gol. Sarà un fuoco di paglia, perché nelle altre partite (nel corso della stagione e mezza condivisa con il Diavolo), Balotelli risulta quasi mai determinante e, anzi, spesso deleterio per la squadra e per il povero Massimiliano Allegri che non ha mai avuto il coraggio di toglierlo dal campo. Cinquanta presenze scarse, 26 gol…quasi tutti in Serie A. In Europa, lo stanno ancora aspettando. Mario non cambia, è sempre lui. Vedere per credere. Colpi proibiti con gli avversari, faccia a faccia pericolosi con gli arbitri, cartellini rossi, qualche lacrima polemica in panchina, interviste negate ai giornalisti, insulti riservati ai giornalisti, sorrisi spesso rifiutati ai ragazzini presenti nella mixed zone di San Siro, decine di multe per divieto di sosta, notti "magnum" in discoteca, qualche rissa (più o meno smentita), una love story turbolenta, un paio di sigarette, decine di "selfie" censurabili e provocatori, come l'ultimo con il fucile puntato verso l'obiettivo e, sullo sfondo, l'enorme equivoco del razzismo e del rapporto con i tifosi avversari che, in caso nessuno l'avesse ancora capito, fischiano e insultano Mario non per il colore della pelle. Il tutto dietro la protezione della sua guardia del corpo, quel Mino Raiola che, al posto di calmarlo e censurarlo, ne prende le sue difese e, a più riprese, minaccia di riportare il suo assistito lontano dall'Italia.

Il colpo di Mino – L'autentico fuoriclasse, in questa telenovela infinita, è proprio il suo agente che, a quanto pare, è riuscito anche stavolta a strappare un contratto faraonico per il suo giocatore. Nonostante tutto, Mario e Mino continuano a cadere in piedi. Anche in questo "giro", dopo un Mondiale da dimenticare nel quale Mario fa tutto e il contrario di tutto: illude contro l'Inghilterra, sparisce contro la Costa Rica, irrita nel match decisivo con l'Uruguay. Prandelli (e metà squadra) se ne accorgono e, nell'intervallo della sfida mondiale, si scatena l'inferno nello spogliatoio italiano con Mario che arriva quasi a contatto con il ct azzurro. Nello stadio di Natal, l'Italia intera (e per primo Adriano Galliani) capisce che, purtroppo, non c'è limite al peggio e che nulla (e nessuno) potrà mai cambiare il ragazzo che, giusto per rasserenare il clima, affronta a muso duro gli italiani spacciandoli per razzisti. Settimane prima ci provò pure Clarence Seedorf che, al timoroso modo di fare del suo predecessore, contrappose carezze da fratello maggiore: tentativo che andò a vuoto, come quello di tutti gli allenatori che ha avuto. Inzaghi non ha fatto in tempo a domare il puledro di razza. Si è limitato a guardarlo da lontano e ad approvare una cessione indispensabile: per le casse rossonere e, soprattutto, per lo spogliatoio e per il gioco che ha in testa il nuovo tecnico. Inzaghi ride, Berlusconi pure. Il Milan deve ripartire dalla faccia pulita di Stefan El Shaarawy, scordandosi in fretta il recente passato. Questione di stile, direbbe qualcuno. Ora, il difficile compito, passa nelle mani di Brendan Rodgers: il "manager" del Liverpool. Molti dicono che, con i tipi tosti, il tecnico dei Reds ci sappia fare. Auguri a lui e a Balotelli che, manco a farlo apposta, potrebbe debuttare proprio contro i suoi ex compagni del City.

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