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Auguri, Zeman. Da 70 anni sempre dalla stessa parte, a fabbricar sogni e campioni

Compleanno speciale per il boemo che ha segnato un’epoca del calcio italiano ed è, ancora oggi, il miglior allenatore che un giovane possa avere per prepararsi al mondo dei grandi, nella ‘giungla’ del rettangolo verde.
A cura di Maurizio De Santis
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zeman compleanno

Alcuni giocatori si lamentano che li faccio correre troppo? A Pescara vivo sul lungomare, e ogni mattina vedo un sacco di persone che corrono. E non li paga nessuno loro.

Basta questa frase iconica, una delle tante che hanno scandito la sua carriera di allenatore, per tratteggiare Zeman. Il boemo uomo di semina, per i giovani che ha svezzato alla sua maniera, non di raccolta, perché aver vinto nulla è la cosa che tutti gli imputano. Lui fa un tiro alla sigarette ("non le conto, altrimenti mi innervosirei e fumerei di più") e avvolge in un nube di fumo il chiacchiericcio più tossico della boccata che aspira. Sacrificio, dedizione, pazienza e gradoni da scalare: chiunque abbia lavorato col Zdenek sa che la ricetta mai è cambiata. Disciplina tattica e fisica, gli ingredienti essenziali.

Il calcio è sempre lo stesso, sia in una piccola sia in una grande città il campo ha sempre le stesse misure e la preparazione è sempre la stessa.

Non esistono alchimie tattiche, esiste il gioco perché – dice il boemo – "il risultato può essere casuale, la prestazione no". I ragazzi lo maledicono per la fatica che fanno, come si fa con un padre severo ma giusto, e poi ne conservano un buon ricordo perché senza quei consigli e quella preparazione nemmeno avrebbero un'opportunità per sopravvivere nella giungla del pallone; i calciatori affermati lo stimano però ne stanno alla larga, sarà perché quando altro prende il sopravvento sulla passione allora diventa difficile non lasciarsi corrompere da ‘come vanno le cose'. Zeman no, oggi come allora è rimasto sempre lo stesso: "Raramente mi capita di dire una bugia. Per questo mi sento solo. E' un mondo, il nostro, in cui se ne dicono tante".

Lo scorso 4 marzo, in Sampdoria-Pescara, ha festeggiato le mille panchine in carriera e a 70 anni conserva lo spirito del ragazzino che può permettersi ancora di esprimere un desiderio. "E' un traguardo, non so quanto sia importante – ha ammesso in un'intervista a ‘Il Centro' – comunque non me li sento ed è questo l'aspetto positivo. Vorrei allenare ancora per tanti anni. Cosa desidero? La salute. Mi auguro di gioire anche per l'ottantesimo compleanno".

Licata, Parma, Messina, Lazio, Roma, Fenerbahçe, Napoli, Salernitana, Avellino, Lecce, Brescia, Stella Rossa, Cagliari, Lugano e Pescara le squadre che ha guidato nel corso della sua lunga avventura. Il giocatore che gli è rimasto nel cuore? "Totti, è il migliore che ho allenato". Lo scorso febbraio è tornato in riva all'Adriatico al posto di Oddo ma senza riuscire a evitare la retrocessione. "Non c'è nulla di male ad essere ultimi, se lo si è con dignità", è un'altra delle sue frasi emblematiche. Sicché la B è solo un punto di partenza per un tecnico che costruisce sogni e alleva speranze. E non è forse questa già una vittoria in un mondo che non concede possibilità ad alcuno?

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