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Heysel 30 anni dopo, cronaca di un massacro

29 maggio 1985: 30 anni fa la tragedia dell’Heysel

Stadio Heysel di Bruxelles, 29 maggio 1985. La finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool è macchiata dalla furia omicida degli hooligans: morirono 47 tifosi, 39 italiani. La partita si giocò lo stesso, i bianconeri vinsero ed esultarono. E’ successo 30 anni fa ma sembra ieri.
A cura di Maurizio De Santis
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Heysel 30 anni dopo, cronaca di un massacro

Il panico dei tifosi in fuga. I volti sconvolti dal dolore e dalla paura, segnati dalle lacrime. I cadaveri messi in fila sul prato, i corpi dei feriti trasportati su barelle di fortuna. Pezzi di cancellata divelti, calcinacci, bandiere, sciarpe, pietre, schegge di vetro, qualche scarpa volata via nella ressa e risucchiata in quel budello di stadio dov’erano stipati inglesi e italiani. E poi ancora occhi stralunati, sguardo perso nel vuoto e la disperazione di quanti, partiti per festeggiare la conquista d’un trofeo così ambito, si ritrovano nel bel mezzo d’un funerale. Avevo dodici anni quando all’Heysel si scatenò l’inferno. Abbastanza da non credere più a Babbo Natale, ancora pochi per capire cosa c’entrino 47 morti (39 italiani) con una partita di calcio.

E così nella mia coscienza di adolescente, le falcate di Boniek (il bello di notte, come lo chiamava l’Avvocato), l’incedere spocchioso, il passo spavaldo e il tocco vellutato di Michel “le roi” furono sopraffatti dalle immagini confuse e dai momenti convulsi che fecero da prologo alla finale di Coppa Campioni. Non c’era la Champions stellare e l’Italia pallonara, anche quella che alla “vecchia signora” non avrebbe offerto un caffè, s’identificava ancora nel blocco bianconero. Lo stesso che aveva restituito un po’ d’ardore fideistico a Sandro Pertini, il presidente partigiano che giocava a scopone con Causio, Zoff e Bearzot.

Al Bernabeu, contro i “teteschi di Germania”, il Belpaese fermò i panzer con i gol di Rossi e di Tardelli. E una puntura di Spillo sgonfiò pure la vergogna chiamata Cile e Corea, consegnando il primo trofeo dell’era post fascista. Nel '34 e nel '38 il minculpop in camicia nera strumentalizzò le vittorie della Nazionale di Pozzo per sostenere le ambizioni di uno Stivale che avanzava con passo marziale verso l’Impero ma si reggeva su gambe d'argilla. Spagna ’82, la gioia e il trionfo. Bruxelles '85, la rabbia e la tragedia per una Coppa insanguinata, una partita che mai sarebbe dovuta cominciare. E il cielo non è mai stato più azzurro fino a Roma '96 e poi a Berlino, oggi come nel 2006. Gli anni passano velocemente e sembrano pochi. Poi ti volti a guardare e non li trovi. Ti restano solo qualche ruga sull'anima e silenzi troppo duri da raccontare.

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